venerdì 9 aprile 2021

Petrolvirus - Emissioni e pandemia, di Max Strata

 (fonte: Facebook)


Il nome di Max Strata si aggiunge alla lista degli "amanti della Natura" che pubblicano su questo blog. Max, si occupa di ecologia applicata e di temi ambientali dal 1989. Dopo il periodo universitario ha svolto l’attività di coordinatore di campi studio tra Associazioni internazionali di protezione ambientale. Ha lavorato in progetti realizzati dal WWF, Enti Pubblici Locali, Parchi Nazionali e Regionali. Esperto di normativa ambientale ha operato per l’Autorità Giudiziaria contribuendo a strutturare numerose attività investigative in materia di reati ambientali. Libero professionista, è docente di programmi educativi e si occupa di progettazione, formazione, controllo e applicazioni operative in materia di rifiuti, ecologia e sostenibilità ambientale. L’ultimo suo libro, “Oltre il limite. Noi e la crisi ecologica”, pubblicato da Dissensi Edizioni nel 2015, affronta il problema dell’equilibrio complessivo della vita sulla Terra, sotto ogni aspetto della nostra esistenza: salute, diritti, lavoro, economia.


L'analisi effettuata dall'Agenzia internazionale dell'energia è chiara. Dopo un anno in cui le emissioni di gas serra sono lievemente diminuite a causa del rallentamento dell'economia determinata dal Covid 19, l'uso del petrolio è in costante ripresa e nei prossimi due anni è previsto il raggiungimento di un consumo superiore ai 100 milioni di barili al giorno.

Nonostante gli investimenti nei “pozzi” siano in leggera flessione, le scorte accumulate, il petrolio estratto con sistemi non convenzionali e i colossali incentivi pubblici diretti e indiretti di cui gode questo settore, non dovrebbero far mancare alle richieste del mercato neppure una goccia.

Tutto ciò confligge con gli obiettivi di riduzione delle emissioni, da raggiungere entro il 2030 e concordati da 190 nazioni con l'accordo di Parigi del 2015. Con una percentuale di Co2 in atmosfera che dunque è destinata a crescere e di molto senza trovare maggiore capacità di assorbimento, ci stiamo avvicinando sempre di più ai peggiori scenari identificati dai ricercatori del tavolo intergovernativo dell'ONU sul cambiamento climatico.

In un'epoca in cui ancora i combustibili fossili letteralmente "muovono il mondo", stiamo dunque transitando verso quello che in gergo tecnico si chiama "tipping point", ovvero un punto di non ritorno climatico ed ecologico a livello planetario. Il superamento del "tipping point" avrebbe un impatto sociale e sanitario al cui confronto l'attuale pandemia è "poca cosa".

La prospettiva, molto concreta, è infatti quella rappresentata da una serie di gravissime criticità tra le quali una drastica diminuzione della produzione agricola e significativi mutamenti ambientali di intere regioni geografiche, con l'esodo forzato di centinaia di migliaia, o addirittura, di milioni di persone. Un'autentica devastazione spalmata in un lasso temporale breve -pochi decenni- e in grado di rimodellare con una forza dirompente quanto siamo abituati a pensare come stabile e consolidato.

Fatte queste considerazioni e dati alla mano, la cosiddetta svolta "green" quotidianamente reclamizzata da molti governi (un po’ a tutte le latitudini) appare come una triste scatola vuota.

La questione della "sostenibilità ambientale" è infatti saldamente in mano ai colossi della finanza globale che attualmente hanno investimenti in gruppi legati a petrolio, gas e carbone che ammontano a ben 3.800 miliardi di dollari: una cifra che non accenna a diminuire.

Senza una inversione di marcia a 180°, ovvero senza una reale volontà di abbandonare in fretta l'economia estrattiva e dissipativa, sappiamo che cosa ci attende.

Ma si sa, chi prova ad affrontare questo tema (il tema per eccellenza) evidenziando una simile prospettiva, viene immediatamente tacciato di integralista o catastrofista, anche si tratta di un'autorità scientifica in materia o di un importante leader religioso.

Nessun commento:

Posta un commento