(fonte: Rassegna stampa di Arianna)
Generalità
Proviamo a camminare in una foresta, in un bosco delle Alpi o degli Appennini. Cosa vediamo attorno a noi? Alberi, felci, terreno, funghi, scoiattoli, uccelli, e poi l’aria, il soffio del vento che fa stormire i rami; il sole, il cielo, le nuvole. Ci sono le relazioni fra tutti i componenti, che sono forse più significative dei singoli viventi.
Il vivente deve respirare, le piante verdi devono ripristinare l’ossigeno assorbito con la respirazione, ciascuno deve mangiare, poi lascia dei residui che sono risorse per altri esseri. Quando un vivente muore, la materia che ne costituiva il corpo è di nutrimento ad altri viventi. Come esempio, i funghi vivono sulle sostanze in decomposizione, l’erba e le altre piante vivono sulle sostanze di scarto degli animali.
Tutto il complesso
resta in sostanza ciclicamente simile a sé stesso, almeno se consideriamo i
tempi che qui ci interessano (milioni di anni o meno).
Tutto quello che
abbiamo visto viene chiamato “ambiente”, come se si trattasse della nostra
casa: i cosiddetti “ambientalisti” raccomandano di tenerla pulita, come se
fosse uno spazio nostro, un’abitazione.
Ma “ambiente” di chi?
dell’uomo? Oggi sappiamo che noi siamo un componente del mondo naturale, siamo
come le cellule di un Organismo. La nostra costituzione, il nostro
comportamento e le nostre emozioni sono dello stesso tipo di quelle degli altri
Mammiferi. A livello cellulare, la Vita è la stessa in tutti i Viventi.
Le relazioni fra noi,
il fungo che abbiamo appena visto, l’aria che respiriamo, gli alberi che ci
circondano sono indispensabili e abbastanza note. Non solo, ma se estendiamo il
discorso ed esaminiamo complessi più ampi, troveremo anche il legame che c’è
fra noi e quell’albero che è stato abbattuto nella foresta del Borneo per
realizzare il tavolo su cui sto scrivendo. Ci sarà un soffio di ossigeno in
meno nell’atmosfera terrestre e un po’ di inquinante in più per la benzina
bruciata dall’automezzo che mi ha portato la posta. La Terra, che ha la
capacità di reagire alle piccole modifiche, cercherà di mantenere la situazione
dei suoi componenti entro valori vitali,
ma la sua capacità ha dei limiti. Infatti, l’Ecosistema totale si comporta come
un essere vivente: anche il mio organismo ha la possibilità di riportare la
temperatura interna entro la fascia 36-38 gradi che mi consente di vivere e
scrivere queste righe, ma se qualcosa forza la mia temperatura fuori da quella
fascia per tempi apprezzabili, non riesco a riportarmi in situazione vitale, ed
è la fine. Così avviene per la Terra, come per i complessi (ecosistemi) che ne
fanno parte, come la foresta.
In sostanza,
l’ecologia è soprattutto la percezione di far parte integrante di un Complesso
molto più vasto, l’Ecosistema (o la Terra), ed avere come primo valore la buona
salute di questo Organismo.
Gli esseri
senzienti
Dagli studi sui
sistemi e sugli esseri collettivi, sappiamo che, oltre un certo grado di
complessità del sistema, si ha l’emergenza di fenomeni mentali. Il sistema
“sceglie” la via da seguire dopo ogni biforcazione-instabilità: la via che
verrà seguita è assolutamente imprevedibile, anche in linea teorica, sulla base
di eventi precedenti avvenuti nel mondo energetico-materiale. Si tratta quindi
di un fenomeno mentale. Gli scienziati meccanicisti-materialisti tentano
disperatamente di salvare le loro premesse dicendo che il sistema prende a caso
la via successiva alla biforcazione. Ma in realtà la parola caso è soltanto
un’etichetta che mettiamo a tutto ciò di cui non sappiamo niente.
Poiché tutti i
viventi e gli ecosistemi sono sistemi altamente complessi, ne consegue che è
corretto attribuire a tali entità la denominazione di “esseri senzienti”. Così
è per una foresta, che è un sistema vivo e creativo perché ha una grande
varietà di viventi e di relazioni organiche/inorganiche.
L’emergenza di
fenomeni mentali nei sottosistemi della foresta significa che si formano esseri
collettivi mentali, e così possiamo considerare gli Elfi, o le altre entità
presenti nelle tradizioni di tutti i popoli delle foreste. L’esistenza di
questi esseri collettivi ha una durata di ordine di grandezza molto superiore
alla durata di vita di ogni singolo componente, o di qualunque vivente in senso
materiale-biologico: infatti, secondo tutte le tradizioni, gli Elfi “sono
immortali”. Vivono tanto più a lungo di noi, che possiamo considerarli in
pratica come immortali.
Anche le emozioni che
si provano nell’immersione in una foresta intatta possono essere scambi con
questi esseri senzienti. Non si tratta di “superstizioni superate del mondo
immaginario magico”, come pretendono i nostri bravi scienziati
meccanicisti-materialisti-riduzionisti.
Da un nativo del
Nord America:
Sai che gli alberi
parlano? Si, parlano l’uno con l’altro e parlano a te, se li stai ad ascoltare.
Ma gli uomini bianchi non ascoltano. Non hanno mai pensato che valga la pena di
ascoltare noi indiani, e temo che non ascolteranno nemmeno le altre voci della
Natura. Io stesso ho imparato molto dagli alberi: talvolta qualcosa sul tempo,
talvolta qualcosa sugli animali, talvolta qualcosa sul Grande Spirito Tatanga
Mani
(da:
Recheis - Bydlinski, Sai che gli alberi parlano?)
La biovarietà
La varietà è alla
base della vita: varietà e vita si devono intendere anche come caratteristiche
di un ecosistema, o - come esempio - di una società di termiti, che costituisce
un essere collettivo; oppure di Primati, e quindi anche di umani.
Ritornando
all’esempio della foresta, c’è un fluire di materia e di energia tra un vivente
e l’altro e con il mondo inorganico, il terreno, l’humus, gli esseri
piccolissimi. Non c’è alcun motivo per dubitare che ci siano anche scambi
mentali. Il sistema foresta si mantiene in questo modo a tempo indeterminato
senza variazioni apparenti, a meno che ci siano interventi drastici che lo
fanno uscire dalle sue capacità di autocorreggersi ed autoripararsi. Il bosco
si mantiene in modo autonomo, senza interventi esterni, a parte la necessità
che venga rifornito continuamente di energia solare, che restituirà alla fine
dei suoi processi: non può accumulare continuamente energia, altrimenti non
sarebbe in condizione stazionaria. Il flusso energetico è indispensabile, come
in tutti i viventi, che sono “strutture dissipative”, cioè si mantengono in
condizioni stazionarie lontane dall’equilibrio termodinamico.
Quando abbiamo
distrutto una foresta, non illudiamoci che si possa rimediare con la
“riforestazione”, anche se è meglio di niente: nessuna “piantagione” di alberi
potrà mai costituire una foresta.
Invece un campo
coltivato con una sola coltura e senza rotazione non è in grado di mantenersi
senza pesanti apporti esterni di fertilizzanti, antiparassitari, sostanze chimiche
varie, energia proveniente da molto lontano (prodotti petroliferi), e così via.
Poiché non ha una
sufficiente varietà interna per autosostenersi, deve essere continuamente
“alimentato” da fuori. Il preteso aumento di produttività agricola per ettaro è
una pia illusione: se si mettono in conto tutti gli apporti e l’energia
consumata, venuta da lontano, non c’è alcun “miglioramento”.
Anche la Terra nel
suo complesso si mantiene se il suo grado di biovarietà è sufficiente: ha
bisogno solo dell’energia del Sole, che restituirà infine allo spazio cosmico.
Gli umani sono una componente di questo sistema totale: possono vivere solo se
il complesso si mantiene in vita.
La comunità di
milioni di vite diverse del suolo, sia macroscopiche che microscopiche, fa
parte integrante della vita del bosco, che si autosostiene. Invece, nei campi
coltivati della civiltà industriale si impiegano grandi quantità di sostanze
chimiche derivate da combustibili fossili: questo accade da pochi decenni, cioè
un attimo nella storia dell'umanità, che ha molti milioni di anni. La
tecnologia e i combustibili fossili hanno aiutato la cultura occidentale a
catturare più pesce, deforestare più terreni, scavare più miniere e trasformare
in denaro tutto ciò che si poteva trovare. Nessuno si interroga sulla moralità
del togliere la vita dal pianeta Terra.
Ancora dai nativi
amerindiani:
Quando noi indiani
uccidiamo, la carne la mangiamo tutta. Quando estraiamo le radici facciamo
piccoli fori: quando costruiamo case facciamo piccoli buchi nel terreno. Non
abbattiamo gli alberi: usiamo solo legno già morto. Ma quest’altra razza di
uomo ara il terreno, abbatte gli alberi, uccide tutti gli animali. L’albero
dice: “Non farlo. Mi fai male. Non ferirmi”. Ma l’uomo bianco lo abbatte e lo
taglia in pezzi. Come può lo Spirito della Terra amare quest’uomo? Dovunque
egli ha toccato, la Terra ne è rimasta ferita.
(etnia Wintu – nativi
americani del Nord-Ovest)
Una studiosa fra
le foreste nordiche
La filosofia è
generalmente considerata come antropocentrica ed i filosofi trattano di questioni
legate all'uomo. Ma si tratta soltanto di un pregiudizio culturale, privo di
ogni fondamento. Coloro che sono interessati alla natura e agli animali
studiano solitamente biologia, veterinaria o scienze naturali. Ma il modo in
cui la biologia descrive la natura può anche mettere a disagio. La foresta è un
luogo per esperienze estetiche: in una foresta si può vivere la propria
relazione con gli altri esseri senzienti.
Leena Vilkka è
docente di filosofia all’Università di Helsinki: la sua tesi di dottorato è
stata sulla filosofia ambientale. La studiosa sostiene che la natura e gli
animali hanno valori intrinseci indipendenti dal valore umano e che interi
ecosistemi possono avere valori non riconducibili ai singoli individui.
Come temi dei suoi
studi avanzati, Leena scelse il valore intrinseco della natura e la coscienza
animale, soggetti di solito evitati da tutti filosofi, compresi i finlandesi.
L'idea prevalente in Finlandia, come in tutto l’Occidente, è una concezione
creata dalla scienza “ufficiale”, dalla tecnologia, dalla società industriale
ed economica. Secondo tale idea la natura è solamente una riserva di materiale
a disposizione dell'uomo. Ovunque si
sono costruite strade, mercati e case residenziali al posto delle foreste.
Questo è un delitto: la foresta è un valore molto più grande di qualunque
costruzione umana.
Il valore in sé
delle Entità Naturali
I filosofi
occidentali precedenti consideravano impossibile l'intrinseco valore della
natura, perché la natura appartiene alla sfera delle scienze naturali, mentre i
valori sono generati dall'attività umana. Ma i valori non esistono solo
nell'uomo ma nelle piante, negli animali ed anche negli ecosistemi. Il punto di
partenza più naturale per trovare i valori è di cercarli negli altri animali,
dove certamente esiste la sofferenza, che ha uno scopo ben definito in natura:
incrementa le possibilità di sopravvivenza. Dal lato opposto della sofferenza
c'è il benessere.
Per un lupo, l'alce
ha un valore strumentale, come preda che sostiene la vita ed il benessere del
lupo. Lo stesso lupo può attribuire ai membri del proprio branco un valore
intrinseco: non li tratta come meri strumenti. Gli animali creano valori
indipendentemente da ciò che l'essere umano pensa di loro.
L'essere umano può
promuovere o danneggiare le sensazioni di un altro essere, ma il suo sentire
rimane indipendente dall'uomo. Che una pianta di casa cresca rigogliosa o meno
può dipendere dagli umani, però il suo benessere o malessere è una qualità
propria della pianta. Il problema nasce dall'affermazione della mancanza
d'identità nelle piante. Se una pianta non ha identità, cos'è che soffre o che
prospera? Ma non c’è proprio niente che ci possa far affermare che le piante
non hanno un’identità.
Il livello più
impegnativo sono i valori collettivi: i sistemi possono avere valori non
riconducibili agli individui?
La tradizione
filosofica lega i valori agli individui e perciò non comprende che una montagna
possa avere un valore intrinseco, né che la Natura come un tutto possa essere
un soggetto con una coscienza olistica. Forse una montagna od un fiume possono
provare 'esperienza'. Così ci troviamo con le idee dell’ecologia profonda.
L’ecologia
profonda
Anche se le
schematizzazioni sono sempre riduttive,
adottiamo la distinzione del filosofo norvegese Arne Naess, dividendo il
pensiero ecologista in due categorie:
- l’ecologia di
superficie, che ha per scopo la diminuzione degli inquinamenti e la salvezza
degli ambienti naturali senza intaccare la visione del mondo della cultura
occidentale;
- l’ecologia
profonda, in cui vengono modificate radicalmente le concezioni filosofiche
dominanti: in questa forma di pensiero si dà un’importanza metafisica alla
Natura, superando il concetto restrittivo e fuorviante di “ambiente dell’uomo”.
Il fondatore di questa linea di pensiero in Occidente è considerato il filosofo
norvegese Arne Naess, tornato alla Terra nel gennaio 2009 all’età di 97 anni.
Non è possibile
pensare di salvare il mondo dalla catastrofe ecologica senza modificare le idee
di fondo e senza rendersi conto che lo sviluppo è un fenomeno impossibile ed è il
prodotto di una sola cultura umana in un determinato momento della sua storia.
L’ecologia profonda -
come filosofia di vita - non è nata negli anni Settanta dalle idee di Arne
Naess o da qualche movimento di minoranza di oggi: da tremila anni in India, e
da tempi ancora più lunghi in tante culture animiste, idee ben diverse da
quelle che hanno poi foggiato la civiltà occidentale avevano avuto modo di
diffondersi nella mente collettiva, come dimostrano questi pensieri, tratti da
antichi testi indiani: “Ogni anima va rispettata e per anima si intende ogni
ordine, ogni vitalità che la sostanza possa assumere: il vento è un’anima che
si imprime nell’aria, il fiume un’anima che prende l’acqua, la fiaccola
un’anima nel fuoco, tutto questo non si deve turbare”.
Ancora una
citazione dai nativi amerindiani:
Una volta che questa
persona avrà acquistato familiarità con lo spirito umano, potrà cercare di
entrare in contatto con lo spirito delle altre cose. Per esempio, potrà entrare
in contatto con lo spirito di un albero, riuscendo a parlare e comunicare con
esso. Se riuscirà a parlare con un albero, allora potrà forse cominciare ad
avere un’idea degli spiriti di tutti gli alberi che sono vissuti in quel luogo,
poi di tutti gli uccelli e di tutti gli animali che in quello stesso luogo sono
vissuti e sono morti. Ma se non si è capaci nemmeno di entrare in contatto con
il proprio spirito, come si può sperare di entrare in contatto con lo spirito
di un albero?
Rarihokwats (dal
libro Wovoka)
Conclusioni
Gli altri viventi,
una foresta, una palude, un termitaio, una specie sono entità dotate di mente:
partendo da un altro approccio, già lo psichiatra junghiano James Hillmann
(Autore, fra molti altri libri, di Politica della bellezza e Il piacere di
pensare) parlava della nostra immersione nell’Anima del mondo.
Allora: L’etica
richiede una sorta di empatia verso tutte le entità naturali.
È evidente che si può
parlare di mente associata al sistema totale, ovvero a tutta la Biosfera:
abbiamo così ritrovato l’idea di Gaia già teorizzata da altri scienziati
(Lovelock, Margulis, Sheldrake). È chiaro che ci siamo portati su posizioni ben
lontane dall’idea tradizionale dell’uomo che studia dall’esterno e manipola a
suo piacimento un mondo fatto di materia-energia. La distinzione fra mondo
energetico-materiale, al servizio della nostra specie, e mondo
mentale-psichico-spirituale, che un tempo era considerato - nella cultura
occidentale - come esclusiva umana, si è dissolta. Qui siamo molto lontani
anche dall’idea che la mente sia soltanto “il prodotto” di un sistema nervoso
centrale.
Il filone di pensiero
cui abbiamo accennato ci dà la speranza di ritrovarci in un mondo che riscopre
lo spirito dell’albero, della palude, del torrente.
Ma la mentalità
corrente e il mondo ufficiale restano su una posizione “ottocentesca”, quella
di un universo meccanico in cui solo l’essere umano, dotato di mente-anima, ha
diritto a considerazione morale!
Invece del Dio-Persona distinto dal mondo e giudice delle azioni umane, troviamo il Dio-Natura immanente in tutte le cose, e quindi anche in noi stessi, che ne siamo partecipi. La Divinità osserva sé stessa anche attraverso gli occhi di una marmotta, o di una formica, o l’affascinante e misteriosa sensibilità di un albero.
Grazie Guido.Limpido e puntuale come sempre.
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