mercoledì 28 aprile 2021

La foresta? Un essere senziente, di Guido Dalla Casa

 (fonte: Rassegna stampa di Arianna)


Generalità

Proviamo a camminare in una foresta, in un bosco delle Alpi o degli Appennini. Cosa vediamo attorno a noi? Alberi, felci, terreno, funghi, scoiattoli, uccelli, e poi l’aria, il soffio del vento che fa stormire i rami; il sole, il cielo, le nuvole. Ci sono le relazioni fra tutti i componenti, che sono forse più significative dei singoli viventi.

Il vivente deve respirare, le piante verdi devono ripristinare l’ossigeno assorbito con la respirazione, ciascuno deve mangiare, poi lascia dei residui che sono risorse per altri esseri. Quando un vivente muore, la materia che ne costituiva il corpo è di nutrimento ad altri viventi. Come esempio, i funghi vivono sulle sostanze in decomposizione, l’erba e le altre piante vivono sulle sostanze di scarto degli animali.

Tutto il complesso resta in sostanza ciclicamente simile a sé stesso, almeno se consideriamo i tempi che qui ci interessano (milioni di anni o meno).

Tutto quello che abbiamo visto viene chiamato “ambiente”, come se si trattasse della nostra casa: i cosiddetti “ambientalisti” raccomandano di tenerla pulita, come se fosse uno spazio nostro, un’abitazione.

Ma “ambiente” di chi? dell’uomo? Oggi sappiamo che noi siamo un componente del mondo naturale, siamo come le cellule di un Organismo. La nostra costituzione, il nostro comportamento e le nostre emozioni sono dello stesso tipo di quelle degli altri Mammiferi. A livello cellulare, la Vita è la stessa in tutti i Viventi.

Le relazioni fra noi, il fungo che abbiamo appena visto, l’aria che respiriamo, gli alberi che ci circondano sono indispensabili e abbastanza note. Non solo, ma se estendiamo il discorso ed esaminiamo complessi più ampi, troveremo anche il legame che c’è fra noi e quell’albero che è stato abbattuto nella foresta del Borneo per realizzare il tavolo su cui sto scrivendo. Ci sarà un soffio di ossigeno in meno nell’atmosfera terrestre e un po’ di inquinante in più per la benzina bruciata dall’automezzo che mi ha portato la posta. La Terra, che ha la capacità di reagire alle piccole modifiche, cercherà di mantenere la situazione dei suoi componenti  entro valori vitali, ma la sua capacità ha dei limiti. Infatti, l’Ecosistema totale si comporta come un essere vivente: anche il mio organismo ha la possibilità di riportare la temperatura interna entro la fascia 36-38 gradi che mi consente di vivere e scrivere queste righe, ma se qualcosa forza la mia temperatura fuori da quella fascia per tempi apprezzabili, non riesco a riportarmi in situazione vitale, ed è la fine. Così avviene per la Terra, come per i complessi (ecosistemi) che ne fanno parte, come la foresta.

In sostanza, l’ecologia è soprattutto la percezione di far parte integrante di un Complesso molto più vasto, l’Ecosistema (o la Terra), ed avere come primo valore la buona salute di questo Organismo.

Gli esseri senzienti

Dagli studi sui sistemi e sugli esseri collettivi, sappiamo che, oltre un certo grado di complessità del sistema, si ha l’emergenza di fenomeni mentali. Il sistema “sceglie” la via da seguire dopo ogni biforcazione-instabilità: la via che verrà seguita è assolutamente imprevedibile, anche in linea teorica, sulla base di eventi precedenti avvenuti nel mondo energetico-materiale. Si tratta quindi di un fenomeno mentale. Gli scienziati meccanicisti-materialisti tentano disperatamente di salvare le loro premesse dicendo che il sistema prende a caso la via successiva alla biforcazione. Ma in realtà la parola caso è soltanto un’etichetta che mettiamo a tutto ciò di cui non sappiamo niente.

Poiché tutti i viventi e gli ecosistemi sono sistemi altamente complessi, ne consegue che è corretto attribuire a tali entità la denominazione di “esseri senzienti”. Così è per una foresta, che è un sistema vivo e creativo perché ha una grande varietà di viventi e di relazioni organiche/inorganiche.

L’emergenza di fenomeni mentali nei sottosistemi della foresta significa che si formano esseri collettivi mentali, e così possiamo considerare gli Elfi, o le altre entità presenti nelle tradizioni di tutti i popoli delle foreste. L’esistenza di questi esseri collettivi ha una durata di ordine di grandezza molto superiore alla durata di vita di ogni singolo componente, o di qualunque vivente in senso materiale-biologico: infatti, secondo tutte le tradizioni, gli Elfi “sono immortali”. Vivono tanto più a lungo di noi, che possiamo considerarli in pratica come immortali.

Anche le emozioni che si provano nell’immersione in una foresta intatta possono essere scambi con questi esseri senzienti. Non si tratta di “superstizioni superate del mondo immaginario magico”, come pretendono i nostri bravi scienziati meccanicisti-materialisti-riduzionisti.

Da un nativo del Nord America:

Sai che gli alberi parlano? Si, parlano l’uno con l’altro e parlano a te, se li stai ad ascoltare. Ma gli uomini bianchi non ascoltano. Non hanno mai pensato che valga la pena di ascoltare noi indiani, e temo che non ascolteranno nemmeno le altre voci della Natura. Io stesso ho imparato molto dagli alberi: talvolta qualcosa sul tempo, talvolta qualcosa sugli animali, talvolta qualcosa sul Grande Spirito Tatanga Mani

(da: Recheis - Bydlinski, Sai che gli alberi parlano?)

La biovarietà

La varietà è alla base della vita: varietà e vita si devono intendere anche come caratteristiche di un ecosistema, o - come esempio - di una società di termiti, che costituisce un essere collettivo; oppure di Primati, e quindi anche di umani.

Ritornando all’esempio della foresta, c’è un fluire di materia e di energia tra un vivente e l’altro e con il mondo inorganico, il terreno, l’humus, gli esseri piccolissimi. Non c’è alcun motivo per dubitare che ci siano anche scambi mentali. Il sistema foresta si mantiene in questo modo a tempo indeterminato senza variazioni apparenti, a meno che ci siano interventi drastici che lo fanno uscire dalle sue capacità di autocorreggersi ed autoripararsi. Il bosco si mantiene in modo autonomo, senza interventi esterni, a parte la necessità che venga rifornito continuamente di energia solare, che restituirà alla fine dei suoi processi: non può accumulare continuamente energia, altrimenti non sarebbe in condizione stazionaria. Il flusso energetico è indispensabile, come in tutti i viventi, che sono “strutture dissipative”, cioè si mantengono in condizioni stazionarie lontane dall’equilibrio termodinamico.

Quando abbiamo distrutto una foresta, non illudiamoci che si possa rimediare con la “riforestazione”, anche se è meglio di niente: nessuna “piantagione” di alberi potrà mai costituire una foresta.

Invece un campo coltivato con una sola coltura e senza rotazione non è in grado di mantenersi senza pesanti apporti esterni di fertilizzanti, antiparassitari, sostanze chimiche varie, energia proveniente da molto lontano (prodotti petroliferi), e così via.

Poiché non ha una sufficiente varietà interna per autosostenersi, deve essere continuamente “alimentato” da fuori. Il preteso aumento di produttività agricola per ettaro è una pia illusione: se si mettono in conto tutti gli apporti e l’energia consumata, venuta da lontano, non c’è alcun “miglioramento”.

Anche la Terra nel suo complesso si mantiene se il suo grado di biovarietà è sufficiente: ha bisogno solo dell’energia del Sole, che restituirà infine allo spazio cosmico. Gli umani sono una componente di questo sistema totale: possono vivere solo se il complesso si mantiene in vita.

La comunità di milioni di vite diverse del suolo, sia macroscopiche che microscopiche, fa parte integrante della vita del bosco, che si autosostiene. Invece, nei campi coltivati della civiltà industriale si impiegano grandi quantità di sostanze chimiche derivate da combustibili fossili: questo accade da pochi decenni, cioè un attimo nella storia dell'umanità, che ha molti milioni di anni. La tecnologia e i combustibili fossili hanno aiutato la cultura occidentale a catturare più pesce, deforestare più terreni, scavare più miniere e trasformare in denaro tutto ciò che si poteva trovare. Nessuno si interroga sulla moralità del togliere la vita dal pianeta Terra.

Ancora dai nativi amerindiani:

Quando noi indiani uccidiamo, la carne la mangiamo tutta. Quando estraiamo le radici facciamo piccoli fori: quando costruiamo case facciamo piccoli buchi nel terreno. Non abbattiamo gli alberi: usiamo solo legno già morto. Ma quest’altra razza di uomo ara il terreno, abbatte gli alberi, uccide tutti gli animali. L’albero dice: “Non farlo. Mi fai male. Non ferirmi”. Ma l’uomo bianco lo abbatte e lo taglia in pezzi. Come può lo Spirito della Terra amare quest’uomo? Dovunque egli ha toccato, la Terra ne è rimasta ferita.

(etnia Wintu – nativi americani del Nord-Ovest)

Una studiosa fra le foreste nordiche

La filosofia è generalmente considerata come antropocentrica ed i filosofi trattano di questioni legate all'uomo. Ma si tratta soltanto di un pregiudizio culturale, privo di ogni fondamento. Coloro che sono interessati alla natura e agli animali studiano solitamente biologia, veterinaria o scienze naturali. Ma il modo in cui la biologia descrive la natura può anche mettere a disagio. La foresta è un luogo per esperienze estetiche: in una foresta si può vivere la propria relazione con gli altri esseri senzienti.

Leena Vilkka è docente di filosofia all’Università di Helsinki: la sua tesi di dottorato è stata sulla filosofia ambientale. La studiosa sostiene che la natura e gli animali hanno valori intrinseci indipendenti dal valore umano e che interi ecosistemi possono avere valori non riconducibili ai singoli individui.

Come temi dei suoi studi avanzati, Leena scelse il valore intrinseco della natura e la coscienza animale, soggetti di solito evitati da tutti filosofi, compresi i finlandesi. L'idea prevalente in Finlandia, come in tutto l’Occidente, è una concezione creata dalla scienza “ufficiale”, dalla tecnologia, dalla società industriale ed economica. Secondo tale idea la natura è solamente una riserva di materiale a disposizione dell'uomo.  Ovunque si sono costruite strade, mercati e case residenziali al posto delle foreste. Questo è un delitto: la foresta è un valore molto più grande di qualunque costruzione umana.

Il valore in sé delle Entità Naturali

I filosofi occidentali precedenti consideravano impossibile l'intrinseco valore della natura, perché la natura appartiene alla sfera delle scienze naturali, mentre i valori sono generati dall'attività umana. Ma i valori non esistono solo nell'uomo ma nelle piante, negli animali ed anche negli ecosistemi. Il punto di partenza più naturale per trovare i valori è di cercarli negli altri animali, dove certamente esiste la sofferenza, che ha uno scopo ben definito in natura: incrementa le possibilità di sopravvivenza. Dal lato opposto della sofferenza c'è il benessere.

Per un lupo, l'alce ha un valore strumentale, come preda che sostiene la vita ed il benessere del lupo. Lo stesso lupo può attribuire ai membri del proprio branco un valore intrinseco: non li tratta come meri strumenti. Gli animali creano valori indipendentemente da ciò che l'essere umano pensa di loro.

L'essere umano può promuovere o danneggiare le sensazioni di un altro essere, ma il suo sentire rimane indipendente dall'uomo. Che una pianta di casa cresca rigogliosa o meno può dipendere dagli umani, però il suo benessere o malessere è una qualità propria della pianta. Il problema nasce dall'affermazione della mancanza d'identità nelle piante. Se una pianta non ha identità, cos'è che soffre o che prospera? Ma non c’è proprio niente che ci possa far affermare che le piante non hanno un’identità.

Il livello più impegnativo sono i valori collettivi: i sistemi possono avere valori non riconducibili agli individui?

La tradizione filosofica lega i valori agli individui e perciò non comprende che una montagna possa avere un valore intrinseco, né che la Natura come un tutto possa essere un soggetto con una coscienza olistica. Forse una montagna od un fiume possono provare 'esperienza'. Così ci troviamo con le idee dell’ecologia profonda.

L’ecologia profonda

Anche se le schematizzazioni sono sempre riduttive,  adottiamo la distinzione del filosofo norvegese Arne Naess, dividendo il pensiero ecologista in due categorie:

- l’ecologia di superficie, che ha per scopo la diminuzione degli inquinamenti e la salvezza degli ambienti naturali senza intaccare la visione del mondo della cultura occidentale;

- l’ecologia profonda, in cui vengono modificate radicalmente le concezioni filosofiche dominanti: in questa forma di pensiero si dà un’importanza metafisica alla Natura, superando il concetto restrittivo e fuorviante di “ambiente dell’uomo”. Il fondatore di questa linea di pensiero in Occidente è considerato il filosofo norvegese Arne Naess, tornato alla Terra nel gennaio 2009 all’età di 97 anni.

Non è possibile pensare di salvare il mondo dalla catastrofe ecologica senza modificare le idee di fondo e senza rendersi conto che lo sviluppo è un fenomeno impossibile ed è il prodotto di una sola cultura umana in un determinato momento della sua storia.

L’ecologia profonda - come filosofia di vita - non è nata negli anni Settanta dalle idee di Arne Naess o da qualche movimento di minoranza di oggi: da tremila anni in India, e da tempi ancora più lunghi in tante culture animiste, idee ben diverse da quelle che hanno poi foggiato la civiltà occidentale avevano avuto modo di diffondersi nella mente collettiva, come dimostrano questi pensieri, tratti da antichi testi indiani: “Ogni anima va rispettata e per anima si intende ogni ordine, ogni vitalità che la sostanza possa assumere: il vento è un’anima che si imprime nell’aria, il fiume un’anima che prende l’acqua, la fiaccola un’anima nel fuoco, tutto questo non si deve turbare”.

Ancora una citazione dai nativi amerindiani:

Una volta che questa persona avrà acquistato familiarità con lo spirito umano, potrà cercare di entrare in contatto con lo spirito delle altre cose. Per esempio, potrà entrare in contatto con lo spirito di un albero, riuscendo a parlare e comunicare con esso. Se riuscirà a parlare con un albero, allora potrà forse cominciare ad avere un’idea degli spiriti di tutti gli alberi che sono vissuti in quel luogo, poi di tutti gli uccelli e di tutti gli animali che in quello stesso luogo sono vissuti e sono morti. Ma se non si è capaci nemmeno di entrare in contatto con il proprio spirito, come si può sperare di entrare in contatto con lo spirito di un albero?

Rarihokwats (dal libro Wovoka)

Conclusioni

Gli altri viventi, una foresta, una palude, un termitaio, una specie sono entità dotate di mente: partendo da un altro approccio, già lo psichiatra junghiano James Hillmann (Autore, fra molti altri libri, di Politica della bellezza e Il piacere di pensare) parlava della nostra immersione nell’Anima del mondo.

Allora: L’etica richiede una sorta di empatia verso tutte le entità naturali.

È evidente che si può parlare di mente associata al sistema totale, ovvero a tutta la Biosfera: abbiamo così ritrovato l’idea di Gaia già teorizzata da altri scienziati (Lovelock, Margulis, Sheldrake). È chiaro che ci siamo portati su posizioni ben lontane dall’idea tradizionale dell’uomo che studia dall’esterno e manipola a suo piacimento un mondo fatto di materia-energia. La distinzione fra mondo energetico-materiale, al servizio della nostra specie, e mondo mentale-psichico-spirituale, che un tempo era considerato - nella cultura occidentale - come esclusiva umana, si è dissolta. Qui siamo molto lontani anche dall’idea che la mente sia soltanto “il prodotto” di un sistema nervoso centrale.

Il filone di pensiero cui abbiamo accennato ci dà la speranza di ritrovarci in un mondo che riscopre lo spirito dell’albero, della palude, del torrente. 

Ma la mentalità corrente e il mondo ufficiale restano su una posizione “ottocentesca”, quella di un universo meccanico in cui solo l’essere umano, dotato di mente-anima, ha diritto a considerazione morale!

Invece del Dio-Persona distinto dal mondo e giudice delle azioni umane, troviamo il Dio-Natura immanente in tutte le cose, e quindi anche in noi stessi, che ne siamo partecipi. La Divinità osserva sé stessa anche attraverso gli occhi di una marmotta, o di una formica, o l’affascinante e misteriosa sensibilità di un albero.

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