domenica 11 aprile 2021

Inutilità della politica, di Guido Dalla Casa

(fonte: Rassegna stampa di Arianna Editrice)


Questa la risposta di Guido Dalla Casa alla provocazione rivoltagli nel post "Una via senza ritorno":

"La prima cosa che mi è venuta in mente è che non accetterei mai un incarico politico di alcun genere: penso che attraverso la politica sia impossibile risolvere, o migliorare, un problema come quello ecologico, che è poi Il problema, da cui discendono tutti gli altri. Inoltre c’è la questione insormontabile di dover influire su tutto il mondo.

Tuttavia, se vogliamo divertirci con le utopie (che sono in realtà l’unica speranza), cercherei di far uscire gradualmente l’Italia da tutta la civiltà industriale: per prima cosa, agire sui programmi scolastici, modificando alla radice le idee di progresso, civiltà, benessere (che dovrebbe essere la serenità mentale) e introducendo anche le premesse di pensiero delle altre culture umane, orientali e native.

Questo tipo di rivoluzioni del sottofondo culturale richiede secoli, e non abbiamo tanto tempo. Come esempio, quella francese e quella sovietica non erano vere rivoluzioni, anzi hanno esaltato ancora di più le premesse errate dell’Occidente: antropocentrismo, desiderio indefinito dei beni materiali, errata posizione della nostra specie in Natura, disprezzo per le altre culture.

Quanto a Mao-Tse-Tung, aveva fatto sterminare decine di milioni di uccellini perché “mangiavano i grani del popolo”. Non aveva la più pallida idea del funzionamento del Complesso Ecosfera e dell’interdipendenza di tutti gli esseri e con il mondo organico/inorganico.

Poi, come inizio, proverei ad ignorare l’economia con i suoi dannati numerini (in genere il PIL misura l’infelicità, non soltanto umana). Progressivo ma rapido divieto di produrre e impiegare: plastica, pesticidi, combustibili fossili. Impostare il messaggio televisivo sulla non-competizione, vietare la pubblicità commerciale, far passare come un fessacchiotto chi cerca la velocità, i primati, l’apparire, il fare, l’avere, e così via. Diffondere in tutto il mondo il controllo delle nascite, dare la massima consapevolezza della posizione della nostra specie in Natura. La civetta delle nevi, quando si accorge che lì attorno ci sono problemi, non fa le uova… Gli altri animali che non hanno predatori fanno pochissimi figli.

Poi, bisogna diventare quasi-vegetariani, e non abbattere alberi a nessuna condizione. Per i trasporti: treno, bicicletta, gambe. Il tutto con qualche eccezione iniziale, per gestire il transitorio. Il lavoro? Cercheremo di cambiarne il concetto alla radice. Bisognerà modificare il primo articolo della Costituzione: L’Italia è una Repubblica fondata sul Mondo Naturale. Gli ostacoli insormontabili: i 200 ab/Kmq dell’Italia e gli 8 miliardi di umani nel mondo. Ora possiamo terminare con una bella risata la carrellata delle utopie. Ci penserà la Terra, ma non dovremo aspettare i pronipoti, perché sta già cominciando.

Secondo Serge Latouche, noi stessi (e pensare che ha compiuto gli 80) avremo il “fantastico privilegio” (!) di vivere il crollo della civiltà occidentale, che durerà 30 anni (?). Spero che si inneschi un collasso economico e non un gran numero di morti per “pandemia o simili”. Così terminano le mail di un mio amico canadese: “If there is not an economic collapse soon, something terrible is going to happen”. Se esisterà ancora qualche cultura non-occidentalizzata, come i Sentinelesi delle Andamane, almeno loro (sono pochissimi) se la caveranno. Comunque, non cercherei mai grane nella politica, a nessuna condizione."

Ulteriori chiarimenti in questo suo precedente articolo sulla "Inutilità della politica"

Il Covid-19, questo coronavirus piuttosto misterioso, avanza nel mondo. Probabilmente è comparso per riportare in salute la Terra, o l’Ecosfera, che così guarirà dal suo terribile male: lo sviluppo economico, nato in una cultura umana, l’Occidente, che ha ormai invaso tutto il mondo.

Oppure lo farà qualche virus successivo.

La civiltà industriale ha gli anni contati. Secondo Serge Latouche: “Noi che siamo qui in questo momento abbiamo il privilegio fantastico di assistere al crollo della civiltà occidentale. Si tratta di un fatto rarissimo, paragonabile alla fine dell'Impero Romano. Con la differenza che questo si è svolto in un arco temporale di 700 anni, mentre il crollo della nostra civiltà si compirà in meno di trent'anni” (da: Scommettiamo sulla decrescita).

Lo sviluppo economico sostituisce materia inerte a sostanza vivente, mette strade, impianti, fabbriche, plastica, cemento, orrori ed errori del ciclo della carne, rifiuti indistruttibili, al posto di foreste, paludi, savane, ghiacciai, praterie, barriere coralline. Altera l’atmosfera e fa diminuire vertiginosamente la biodiversità, con estinzione di specie, crescita patologica di mostruosi agglomerati umani, distruzione di ecosistemi.

In genere qualunque istanza per cercare di arginare questi fenomeni viene trattata, anche dagli oppositori, facendo richieste ai politici, che, quando va bene, promettono green economy, investimenti verdi, sviluppo sostenibile, ma mantengono il primato e il linguaggio dell’economia: non accenneranno mai a rinnegare la crescita e a mettere in discussione il primato dell’uomo, visto come esterno a tutte le entità naturali, che invece costituiscono con noi un unico Organismo, l’Ecosfera.

Nessun tipo di politica ha mai cambiato veramente un modello culturale, neppure la guerra, che è stata anche chiamata “la prosecuzione della politica con altri mezzi”. Gli effetti delle due spaventose guerre mondiali del ventesimo secolo si notano appena sui grafici di crescita della popolazione umana e dell’economia.

E le rivoluzioni violente? Neppure quelle. Le due più grosse rivoluzioni degli ultimi secoli (quella francese e quella sovietica) sono sostanzialmente fallite e hanno lasciato tracce piuttosto deboli sul modello “civiltà industriale”. La visione del mondo e la percezione della posizione della nostra specie in Natura non sono mai cambiate né con una guerra, né con una rivoluzione né con qualche movimento o evento di tipo politico.

I politicanti hanno bisogno di cercare “il consenso” e non avranno mai seguaci di maggioranza se parlano di cambiare radicalmente un modo di vivere, perché nessun modello culturale umano è capace di concepire la propria fine. I politici già in carica perderebbero la sedia dopo pochi giorni.

Gli unici cambiamenti reali sono quelli che avvengono nel paradigma generale scientifico-filosofico in cui si inquadrano le conoscenze: l’ultimo è iniziato attorno al 17°-18° secolo e ha fatto nascere la civiltà industriale, ma neanche quello ha mai intaccato alla radice un punto essenziale della visione del mondo imperante: l’antropocentrismo, l’idea preconcetta che siamo al di fuori e al di sopra del mondo naturale, che resta al nostro servizio. Questa idea di base, ben radicata in tutto il mondo giudaico-cristiano e islamico, che non ha mai ascoltato il parere delle altre culture umane, orientali o native, è una delle radici degli attuali guai del mondo. Solo recentemente l’errore antropocentrico dà qualche primo segno di cedimento con gli ultimi studi di Fisica Quantistica, Dinamica dei Sistemi, Evoluzione biologica, Ecologia Profonda, studi sulla Mente Animale e Vegetale, Anima del Mondo, Mente Estesa, Ecopsicologia, Indivisibilità Mente-materia e altri.

Anche movimenti sostanzialmente falliti, come il cosiddetto “Sessantotto”, non hanno mai cercato contatti con l’altro movimento scientifico-filosofico, più lungo e silenzioso, che era già in corso. Anzi, i Sessantottini erano più che mai antropocentrici e si consideravano “il Progresso”. Parlavano anch’essi il solito linguaggio politico-sociale-economico, incapaci di colloquiare con un linguaggio scientifico-filosofico.

Per cambiamenti veramente radicali e profondi occorrono alcuni secoli, e non abbiamo certamente tanto tempo: resta comunque il fatto che è completamente inutile rivolgersi alla politica per ottenere qualche risultato nella gravissima crisi attuale.

Da un articolo di Guido Ceronetti pubblicato sul quotidiano La Stampa del 9 marzo 1993:

Vorrei un capo di governo o di azienda che facesse precedere da un purtroppo le frasi consuete: “dobbiamo aumentare la produzione”, “la ripresa è imminente” … Neppure questa libertà gli è data. Sono costretti anche ad adularlo, il Maligno: se aggiungono un purtroppo li scaraventa in basso come birilli. Questo non è più avere un potere, tanto meno corrisponde a qualcuno dei sensi profondi di comando. L’asservimento all’economia dello sviluppo, senza neppure un accenno di sgomento, dice l’immiserimento, la perdita di essenza e di centro, della politica. Se il fine unico è lo sviluppo, la politica è giudicata in base alla sua bravura (che è pura passività) nello spingerlo avanti a qualsiasi costo.”

Non c’è nessuna idea politica dietro, sopra o sotto: c’è il Dio dell’economia industriale geloso del suo culto monoteistico.


 

2 commenti:

  1. Tutte queste cose le sanno benissimo ma semplicemente se ne fregano. Se ne fregano perché loro che controllano i meccanismi di potere, in questo modo possono condurre la loro piccola vita guidando la Ferrari, vivendo in molte grandi ville costruite su enormi tenute controllate in modo capillare (alla faccia della globalizzazione e della eliminazione delle frontiere e delle barriere, le barriere di tutti gli altri meno che le loro). Possono viaggiare con aerei personali e adesso vogliono anche poter decidere sul destino di miliardi dei altri esser umani.

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  2. Sanno benissimo tutto ma per loro tutto questo è meno importante del pianeta terra e di tutto il resto dell'umanità nel suo insieme.

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