Chi di voi, osservando dal
finestrino di un aereo le case, le strade, i capannoni e i campi coltivati
sottostanti, non ha avuto l’impressione di trovarsi in presenza di un melanoma,
di un vero e proprio tumore maligno ai danni del corpo del pianeta?
In gergo “cancrista” questa si chiama la “prova dell’aeroplano” e ne hanno parlato, tra gli altri, Lewis Mumford e Konrad Lorenz.
Questa raffigurazione terrificante
è la conferma visiva di come ormai l’intero globo terracqueo sia diventato un
immenso, sconfinato impero dell’essere umano, ovvero del cancro del pianeta.
Ad esso è dedicato il mio
nuovo libro, intitolato per l’appunto “L’impero del cancro del pianeta” (Mimesis
editore) e sottotitolato “L’organizzazione della società ai tempi dell’ecocidio”.
Per la presentazione dei libri
precedenti vedere Il cancro del pianeta e Il cancro del pianeta consapevole.
Ho cercato con questo
saggio di scendere metaforicamente dall’aeroplano e di calarmi dentro alla
realtà della malattia per vedere come le cellule neoplastiche si sono
organizzate al fine di sostenere il loro esorbitante aumento numerico.
Si sa che il cancro è originato
da una o più cellule che subiscono un’alterazione genetica tale da rifiutare il
meccanismo omeostatico che blocca la proliferazione delle cellule quando il loro
numero diventa eccessivo. Venendo meno questo freno, la popolazione delle
cellule alterate straborda ovunque, come è accaduto alla nostra specie.
Ogni cellula va nutrita e
se il loro numero è elevatissimo, occorre trovare elevatissime quantità di
cibo. È il problema con il quale da decenni convive drammaticamente il genere
umano, senza che gran parte di esso si renda conto dei problemi e dei drammi
che si celano dietro agli scaffali pieni dei supermercati.
Ho cercato di affrontare questa
realtà con l’aiuto di altri autori che prima di me l’hanno indagata con grande
competenza. Tra questi Raj Patel, Lester R. Brown, Philip Lymbery e Stefano
Liberti. Arricchito dai dati, dalle notizie e dai pareri di costoro e di altri
autori, ho avuto una ulteriore conferma che quanto accaduto negli ultimi
decenni si inquadra perfettamente nell’ottica della teoria cancrista.
Il compito che mi sono
assunto, infatti, non è di effettuare una nuova indagine in aggiunta a quelle
già esistenti, ma di mostrare all’uomo contemporaneo come i fatti e i processi
sociali che si svolgono sotto ai suoi occhi altro non sono che tasselli di un
comportamento tipicamente cancerogeno.
Molti autori hanno
descritto i mali che affliggono il mondo per cause antropiche, ma poi non sono
giunti a trarre le conclusioni più coerenti.
Un nome su tutti, quello
di Aurelio Peccei. Il fondatore del Club di Roma nel suo saggio “Cento pagine
per l’avvenire” (Giunti Editore, Firenze 2018) scrive:
“È […] in uno slancio
di creatività eccezionale o in un momento di smarrimento che la Natura produce
la sua ultima grande specie […] homo sapiens? È questi il suo capolavoro, o
invece non è che un refuso sfuggito al controllo della selezione […]? (pag.
56)
“Un […] comportamento
aberrante della nostra specie la rende gravemente colpevole davanti al
tribunale della vita. Si tratta della sua proliferazione esponenziale, che non
si può definire che cancerosa.” (pag. 66)
“Siamo per caso una
specie di geni, destinati in fin dei conti a trionfare su tutto? O al contrario
[…] non ci siamo forse trasformati in mostri, magari mostri geniali, che
finiranno per restar vittime del loro stesso malsano operare?” (pag. 80)
Questi dubbi e questi atti
di accusa non si concretizzano però in una coerente teoria cancrista, ma si
stemperano in un atto di fede che sinceramente non condivido:
“Pur riconoscendo che
questa tesi ha dei punti validi, io sono portato a dare una risposta meno
pessimista a questi interrogativi cruciali sulla natura e sul destino dell’uomo.
La condizione umana è grave, ma può essere migliorata – a certe condizioni.”
(pag. 81)
Questa affermazione fa capire
come Peccei, nonostante le sue intuizioni sulla nocività del genere umano, sia
sempre rimasto sostanzialmente antropocentrico.
La sua preoccupazione non
è per la gravità delle condizioni della biosfera, ma per quella del genere
umano.
Per un ulteriore approfondimento del
pensiero del fondatore del Club di Roma vedere “Aurelio Peccei precursore del Cancrismo?”
È come se un medico si
preoccupasse dello stato di salute del tumore anziché di quello dell’ammalato.
Credo che questa metafora renda
bene l’idea della inversione di prospettiva operata dalla teoria cancrista: non
è del genere umano che ci dobbiamo preoccupare ma della biosfera nel suo
complesso, anche perché noi comunque della biosfera facciamo parte e se le sue
condizioni di salute migliorassero pure noi ne beneficeremmo.
Ma, al punto in cui siamo,
questa opzione non è realistica, al contrario tutto sembra indicare che la
strada intrapresa vada esattamente in direzione opposta.
Questo è l’oggetto del mio
saggio: vedere come la società si sia strutturata per far fronte alle esigenze
alimentari ed energetiche di una popolazione mondiale in costante aumento e,
soprattutto, come questa organizzazione non consenta inversioni di rotta, pena
l’impossibilità di garantire cibo e energia ai miliardi di uomini e donne che
abitano il pianeta.
L’agricoltura intensiva,
gli allevamenti concentrazionari e l’acquacoltura sono altrettanti capitoli de “L’impero
del cancro del pianeta” dove vengono analizzati origini, sviluppo e
prospettive dei sistemi più efficaci per produrre cibo. A guardarli da vicino,
questi sistemi non possono che suscitare orrore, ma in un altro capitolo del
libro spiego come il pensare di sostituirli con la cosiddetta “agroecologia”
sia pura utopia.
È una ulteriore riprova
che la via imboccata non ha alternative e non può essere percorsa a ritroso.
Anche se la crescita della massa tumorale che noi rappresentiamo per la
biosfera un giorno dovesse arrestarsi per mancanza di risorse, ciò avverrebbe al
limite di ciò che il Pianeta può offrire in termini di terra coltivabile e di
animali macellabili, dopo aver distrutto tutte le cellule sane vegetali e animali
esistenti.
Ciò significherebbe
comunque il collasso della biosfera, la morte dell’ammalato di cancro.
Il discorso è ancora più drammatico
se si pensa alla situazione di quello che ho chiamato il “cibo per le macchine”,
ovvero l’energia necessaria a far funzionare i miliardi e miliardi di apparati,
dispositivi, congegni e altre attrezzature artificiali realizzate dall’uomo nell’illusione
di rendere più comoda la sua vita a tempo indeterminato.
Un apposito capitolo del
libro è dedicato a tale realtà e alla disperata ricerca di quelle inesauribili
fonti di energia pulita che dovrebbero risolvere ogni nostro problema, ma che appaiono
ancora ben lontane dal poter sostituire i combustibili fossili.
A tal proposito il Cancrismo
ritiene però che, anche se queste fonti di energia pulita e rinnovabile si
rendessero disponibili e fossero in grado di soddisfare le esigenze di tutte le
macchine del mondo, la salute della biosfera non ne trarrebbe beneficio.
L’uomo - cancro del
pianeta ne approfitterebbe infatti per dilatare a dismisura i suoi consumi ai
danni di ogni altra residua realtà sana della biosfera, e con questo suo
comportamento non farebbe che affrettare i tempi del collasso.
Non si tratta di
pessimismo né di visione cupa della vita. È solo oggettivo realismo che trova
la sua spiegazione nella metafora che assimila l’essere umano a una cellula tumorale
e l’intera umanità alla massa neoplastica che divora lentamente l’organismo
dell’ammalato di cancro.
Pochi pensatori, e non tra
i più famosi, hanno sin qui avuto il coraggio di esplicitare una teoria così
radicale, e io, giunto al termine della mia “trilogia” su “Il cancro del
pianeta”, ho avvertito il desiderio di curiosare in rete per vedere chi mi
avesse preceduto nel denunciare il comportamento cancerogeno di Homo sapiens.
È nata così la corposa Appendice
su “I precursori del Cancrismo” posta in calce al volume. Si tratta del primo
documento che riunisce personaggi provenienti da esperienze diverse ma uniti
nella visione cancrista dell’essere umano.
Di ognuno ho analizzato i
punti di contatto e quelli di divergenza rispetto alla teoria sviluppata nei
miei tre saggi.
Ma un elemento su tutti accomuna
gli autori presi in considerazione: nessuno di essi ha mai sistematizzato le proprie
intuizioni in uno o più lavori storico - dottrinali di ampio respiro, tali cioè
da configurare la nascita di una teoria o corrente filosofica sulla nocività
dell’essere umano per la biosfera.
Con questo mio nuovo libro e con i due precedenti mi auguro di essere riuscito a colmare almeno in parte questa lacuna nella storia del pensiero, in attesa che altri riprendano questo tema per svilupparlo e diffonderlo in modo ancor più autorevole.
Penso però che non dobbiamo preoccuparci più di tanto se giudichiamo con il sapere della Natura stessa,questa Natura che è la fonte di vita anche per le stesse cellule cancerogene che la minacciano ma che è organizzata in modo tale da superare comunque qualunque disastro che di volta in volta queste cellule producono. Alla fine queste cellule cancerogene distruggono sempre e solo la propria specie. Se nasce un tumore dentro di noi e il medico lo distrugge, alla fine le cellule muoiono e il nostro corpo sopravvive. Se il medico non riesce a distruggere il tumore, il nostro corpo muore ma alla fine muoiono comunque anche le stesse cellule cancerogene e però resteranno comunque tutti i nostri simili che faranno proseguire la specie umana che continuerà a vivere. Quindi se si riuscirà a sconfiggere le cellule cancerogene la Terra continuerà con la specie umana e tutte le altre specie, se invece vincerà il tumore, la terra morirà con tutte le sue specie ma non morirà la Natura, non morirà l'organismo che da la vita al "tutto". La Terra, confrontata con il resto dell'universo (senza contare quello che secondo me' "contiene l'universo" e che non vediamo), è quasi niente. È una sorta di formula: (cellula cancerogena=stupidità).
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