martedì 23 marzo 2021

La bellezza salverà il mondo, di Bruno Sebastiani

 


La frase di Dostoevskij “La bellezza salverà il mondo” (L’Idiota, parte III, capitolo V) è stata interpretata in un’infinità di modi e ha fornito spunto per un gran numero di dibattiti.

Diego Fusaro, nel corso di una conferenza tenutasi a San Pellegrino Terme nel 2015 (ora presente su Youtube), ha dissertato egregiamente su questa pluralità di impieghi che ne è stata fatta.

Io qui vorrei fornire la mia interpretazione personale, non necessariamente coincidente con quella del grande romanziere russo, sempre che Dostoevskij ne abbia avuta una e non abbia posto la locuzione in bocca ai suoi personaggi unicamente come “frase a effetto” (nel corso della narrazione l’argomento non viene approfondito).

In un post su Facebook ho scritto: “È tempo di utilizzare l’arte per divulgare la consapevolezza della nocività del genere umano per la Terra. Le idee faticano a farsi strada, e allora proviamo a dipingere, cantare, fotografare, declamare, scolpire, rappresentare in ogni modo questa nostra negatività per il pianeta, ciascuno con le proprie abilità.

Ecco questa per me è la “bellezza” che può, anzi deve, tentare di frenare la nostra folle corsa verso il baratro. Chiamiamola “bellezza”, “estetica” o “arte”, qualunque sia il suo nome fa riferimento a categorie del pensiero distinte e distanti da “ragione”, “logica” e “scienza”. E se queste ultime sono indubitabilmente le responsabili dell’estremo degrado ambientale in cui ci troviamo, perché non utilizzare nella nostra azione di contrasto le facoltà della mente non coinvolte nell’attuale ecocidio, quelle che nel corso della storia hanno invano tentato di arginare la crescente marea scientista?

Queste facoltà si esprimono con il linguaggio dell’arte: pittori e scultori hanno sempre tratto ispirazione dal mondo della natura, poeti e musicisti si sono sempre rivolti a quella “categoria dello spirito” che si chiama “sentimento”.

Nella mia raffigurazione della mente umana il sentimento non è altro che l’istinto sublimato dalla ragione, laddove per istinto intendo tutto ciò che ci deriva direttamente dalla natura, senza alcuna intermediazione di tipo “culturale” o “razionale”.

La ragione, sempre secondo la teoria che sostengo, è invece quel “surplus” di intelletto procuratoci da occasionali alterazioni geniche verificatesi nel corso dell’evoluzione, “surplus” da noi utilizzato per dar vita al mondo “artificiale” giustapposto a quello “naturale” (come la neocorteccia è sovrapposta al cervello limbico e a quello rettiliano…).

Se la ragione ha causato i guai che ben conosciamo, dalla sovrappopolazione all’esaurimento delle risorse (ecc. ecc.), è purtuttavia vero che solo la ragione può tentare di porre rimedio a tali guai, essendoci preclusa la via del ritorno allo stato di natura dalle troppe modifiche intervenute nel tempo ai danni del nostro organismo e dei nostri assetti sociali.

Ma ogni tentativo di riparazione prima di essere intrapreso deve essere desiderato.

Ed ecco il ruolo dell’arte: rappresentare la bellezza del mondo della natura e la mostruosità del mondo artificiale al punto da eccitare i sentimenti umani verso il desiderio della riparazione.

L’atto estetico va poi razionalizzato e tradotto in pratica riparatoria. Ma, senza la scintilla per l’innesco del processo “revisionista”, nulla di veramente decisivo può prendere avvio.

Qualcuno osserverà che molti uomini di buona volontà e tanti potenti del mondo hanno già preso coscienza della necessità di modificare i nostri comportamenti nei confronti dell’ambiente, come dimostrano numerose iniziative individuali e svariati accordi internazionali.

C’è il dubbio che tali prese di coscienza nascondano talvolta altrettante operazioni di facciata, destinate a consentire la prosecuzione dell’attuale modus vivendi a cuor leggero, con la coscienza risciacquata nella tinozza della green economy.

Ma pur senza voler pensare male e dando credito alla buona volontà dei singoli e delle istituzioni, appare evidente come le iniziative sin qui intraprese siano del tutto insufficienti a riparare i danni causati all’ambiente. La prova più macroscopica è fornita dalle difficoltà incontrate a raggiungere gli obiettivi fissati dall’Accordo di Parigi del 2015, a proposito del quale è interessante notare come il maggior contributo alla riduzione delle emissioni dei gas serra è stato fornito non tanto dalle iniziative degli Stati firmatari quanto dallo stop alle attività produttive imposto dalla dilagante pandemia.

Comunque sia, lo stimolo che le opere d’arte possono offrire alle moltitudini e alle classi dirigenti è sempre della massima importanza, anche laddove la spinta al cambiamento appaia sinceramente avviata: essa infatti va convintamente sostenuta contro i rigurgiti egoistici di specie che non mancano mai di manifestarsi.

Al fine di dare il buon esempio, come promotore della teoria cancrista ho rivolto un appello agli amici artisti che condividono con me la convinzione della nostra nocività per la biosfera e ho creato un’apposita pagina del mio sito con alcuni contributi illustrativi al riguardo. Un primo manipolo di pittori, poeti e musicisti ha già risposto all’appello, e precisamente:

-        Mario Giammarinaro, pittore (con le sue maree nere ha denunciato i danni dell’inquinamento)

-        Massimo D’Arcangelo, ecopoeta (“Il cancro del Pianeta siamo noi / ma il messaggio è omesso / vietato, nascosto alle masse”)

-        Maicol MP, musicista (L’uomo come cancro del Mondo)

-        Andrea Rayquaza Di Sanzo, cantautore rap (Autodistruzione)

-        Marco Sclarandis, scrittore e poeta (Mai ci parlerà l’aragosta)

-        Mario Famularo, poeta (“quest’uomo senza pace / è il cancro della terra”)

-        Cristina De Biasio, pittrice (tra le sue opere: Nuovo mondo, dopo l’estinzione umana)

-        Gabriele Buratti (Buga), pittore, fotografo e scultore (“Dal linguaggio rupestre a quello freddo e inumano dei codici a barre, la semiologia ha fatto un salto che allontana sempre più l'uomo dal mistero del sacro impadronendosi del nostro immaginario collettivo attraverso il mondo dell'economia.”)

Sono consapevole che i pochi nomi citati siano quantitativamente un’inezia rispetto al gran numero di artisti che stanno tentando di raffigurare i danni da noi procurati alla natura.

Ma l’elemento che mi preme mettere in rilievo è l’importanza dell’unificazione degli sforzi in vista di un fine comune. Il singolo artista segue la sua ispirazione e, poiché ogni vero artista non può che essere in buona fede, certamente la sua rappresentazione del mondo rispecchia la drammatica situazione che stiamo vivendo.

Il rischio è che sia interpretata come la visione di un pittore, poeta o musicista isolato, come lo sfogo di una singola anima afflitta dal tormento per il brutto che avanza.

Il che non significa che ogni opera d’arte debba esprimere afflizione e sofferenza. Anzi. L’inno alla vita, la gioia per la natura che rifiorisce, l’esaltazione dell’amore per tutti gli esseri viventi sono altrettanti potenti eccitatori da contrapporre all’avidità del guadagno, al freddo calcolo della ricerca scientifica, alle brutalità compiute ai danni del mondo animale e vegetale.

Ma in un caso o nell’altro (esaltazione del bello o denigrazione del brutto) ciò che conta è l’obiettivo da raggiungere e cioè la graduale conversione dell’umanità a nuovi stili di vita.

Altre forze spingeranno nella medesima direzione e purtroppo saranno violente, come quelle che la natura offesa scatenerà sotto forma di tempeste, uragani, innalzamento dei mari e così via.

Anche per tentare di prevenire queste catastrofi è opportuno che il maggior numero possibile di persone si convinca quanto prima della necessità del cambiamento e, se gli argomenti razionali non sono in grado di generare questo convincimento, l’arte, o meglio, l’azione congiunta di tutti gli artisti, può forse ottenere risultati migliori, può forse “salvare il mondo”.

Mi faccio quindi interprete del pensiero (vero o presunto) di Fedor Dostoevskij e chiedo a tutti gli uomini che hanno orientato la loro attività in campo artistico (compresi gli autori teatrali e cinematografici, i fotografi, gli architetti, i romanzieri, i compositori musicali, i writers ecc.) di riconoscersi in questo comune sforzo di cambiamento globale.

Oggi forse il ruolo dell’arte appare offuscato rispetto ai secoli passati, come se la sua voce fosse sovrastata dal frastuono del traffico metropolitano, cionondimeno mi auguro che pittori, poeti e musicisti prendano sempre più coscienza del loro ruolo di “grilli parlanti” capaci di smuovere la coscienza collettiva dell’umanità e che promuovano questo nuovo romanticismo all’insegna del motto “la bellezza salverà il mondo”.


1 commento:

  1. Quando Dostoevskij ha scritto che "per agire intelligentemente non basta l'intelligenza", forse intendeva proprio questo: che servono l'arte e la bellezza. E tra le tante cose che ha scritto, ha scritto anche: "c'entrava anche una sua teoria personale, una teoria così e così, secondo la quale gli uomini si dividono in materiale grezzo e individui speciali , cioè individui per i quali data la loro posizione elevata, la legge non vale, anzi, sono loro che fanno le leggi per gli altri uomini, per il materiale, per la spazzatura". E a quanto sembra,questo è l'unico scritto di Dostoevskij che gli attuali governi del mondo hanno apprezzato veramente.

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