Come noto
l’“ecologia profonda” è quella corrente di pensiero che invita a considerare
l’essere umano non come il dominus
della natura, ma come uno dei suoi innumerevoli componenti, impegnato, in
quanto tale, a rispettare le leggi che regolano la vita sul pianeta.
Si contrappone al movimento ecologista superficiale, in quanto questo, pur combattendo contro l’inquinamento e lo spreco delle risorse, ha come "obiettivo primario la salute e il benessere della popolazione nei paesi sviluppati […]" (Arme Naess, Ecosofia, Como, Red Edizioni, 1994, p. 29)
Invece "il movimento ecologista profondo rifiuta
l’immagine di un’umanità inserita in un ambiente da cui è distinta, a favore
dell’immagine del campo totale e relazionale" (ibidem)
"L’uomo sta alla Natura come la parte al
Tutto, come un tipo di cellula sta all’Organismo (psicofisico) di cui fa parte" (Guido Dalla Casa, L’Ecologia Profonda,
Milano, Mimesis, 2011, p. 49)
Partendo da
questi presupposti la società umana "non
deve necessariamente svilupparsi, ma anzi deve trovare un modus vivendi con la
natura di tipo olistico, di interazione e rispetto" (Fabio Balocco, post
del 12 ottobre 2017 sul blog Ambiente e Veleni de IlFattoQuotidiano.it).
Queste affermazioni
e questi propositi a prima vista appaiono tutti sensati e condivisibili.
Eppure le
analisi dei sostenitori dell’ecologia profonda offrono elementi di debolezza ad
un esame più approfondito. In particolare peccano di irrealtà. Ritengono realizzabili
condizioni esistenziali che per l’uomo contemporaneo oramai realizzabili non
sono più.
Facciamo
l’esempio più evidente.
Arne Naess, il
“padre” dell’ecologia profonda, scrive: "L’unicità
dell’Homo sapiens, le sue capacità uniche tra milioni di altri esseri viventi,
sono state usate come strumenti di dominio ed abuso di potere. L’ecosofia
propone di usarle per sviluppare un atteggiamento di responsabilità universale
che le altre specie non possono né capire né condividere". (op. cit., p.
218)
È chiaro che
quando Naess parla delle capacità di Homo
sapiens, fa riferimento alle sue facoltà cerebrali eccezionalmente
sviluppate. Ebbene, è proprio a causa di questo incremento abnorme
dell’intelligenza che i nostri antenati sono stati in grado di contravvenire
alle leggi di natura a proprio vantaggio e a svantaggio degli altri esseri
viventi. Una volta che sono stati in grado di farlo non potevano non farlo,
indotti a ciò da quell’istinto di sopravvivenza che sta alla base della lotta
per la vita.
In altre parole.
Ogni essere vivente è “programmato” per combattere, con le armi che la natura
gli mette a disposizione al fine di sopravvivere come individuo e come specie.
Laddove le armi non sono adeguate soccombe, laddove sono prevalenti domina. E a
noi uomini è capitata la ventura di essere dotati di una super arma, il “Dono
non richiesto” (“The Unsolicited Gift”)
di koestleriana memoria (vedi Arthur Koestler, Il Fantasma dentro la Macchina, Torino, SEI, 1970, XVII capitolo,
primo paragrafo), ovvero la super intelligenza.
Nel corso
dell’evoluzione si è sviluppato attorno al nostro cervello rettiliano (sede
degli istinti, che abbiamo in comune con gli animali più primitivi), il
cervello limbico (sede delle emozioni, che ci accomuna agli altri mammiferi), e
poi ancora sopra a questo, all’improvviso e in modo rapido e tumultuoso, è
proliferata la neocorteccia (sede del pensiero astratto), la super arma che ci
ha consentito di sbaragliare ogni avversario e di dominare la natura.
I
neuroscienziati mi perdoneranno l’eccessiva semplificazione, ma in questa sede
mi preme soprattutto badare all’essenziale.
Ecco, l’”atteggiamento di responsabilità universale”
di cui parla Naess dovrebbe consistere nella rinuncia a gran parte dei
privilegi che la natura ci ha incautamente concessi dotandoci della
neocorteccia, al fine di ricomporre l’armonia del mondo della natura che in
gran parte abbiamo già distrutto.
Ma la natura
stessa ci ha dotato anche di quel formidabile impulso che è l’istinto di
sopravvivenza, al quale non possiamo sottrarci, ed ecco allora che il combinato
disposto di tale istinto con le facoltà intellettuali superiori non poteva che
condurci al punto in cui siamo, e in futuro non potrà che spingerci verso un
ulteriore sfruttamento delle risorse naturali per alimentare una popolazione
umana e un apparato di congegni artificiali in continua crescita.
A questo
proposito Naess si rende conto che alla base dello sfruttamento delle risorse
naturali vi è la ben nota curva iperbolica dell’aumento della popolazione, e
nella sua “piattaforma del movimento
dell’ecologia profonda” inserisce i seguenti punti:
"4. L’attuale interferenza umana nel mondo
non umano è eccessiva, e la situazione sta peggiorando rapidamente."
"5. Il fiorire della vita umana e delle
diverse culture è compatibile con una sostanziale diminuzione della popolazione
umana. L’esistenza stessa delle forme di vita non umane esige tale diminuzione." (op. cit., p. 31)
Qui si dovrebbe
aprire un importante dibattito sul tema dell’antinatalismo. L’argomento è
fondamentale ma lungo e complesso, e mi riservo di affrontarlo in altra sede.
Per lo scopo che mi sono qui prefisso sarà sufficiente far notare come la
soluzione proposta dall’ecologia profonda per porre rimedio ai guai sin qui
causati dall’essere umano preveda preliminarmente la trasgressione da parte del
medesimo essere umano di quell’istinto di sopravvivenza della specie che la
natura ha indelebilmente impresso nella parte più recondita del nostro organo
di comando, il cervello rettiliano.
Per correggere
un errore della natura (la nostra super intelligenza), per uscire dal vicolo
cieco imboccato dall’evoluzione, dovremmo abbattere il pilastro che la natura
stessa ha posto alla base dei nostri comportamenti.
L’uomo moderno
non vuole farlo: lo sviluppo della società tecnologica lo dimostra ampiamente.
Ma anche se volesse farlo, non potrebbe: gli istinti fanno parte di un codice
comportamentale innato, la repressione del quale esula dalle nostre capacità
fisiche e psichiche.
Questo punto è
basilare e ci riporta indietro nel tempo al noto dibattito sul libero arbitrio
che contrappose Erasmo a Lutero.
Per restare più
vicini all’oggi, osservo come anche Koestler, che tra il 1959 e il 1978 disegnò
in cinque saggi un grandioso affresco sulla mente umana come anomalia evolutiva,
non se la sentì di chiudere completamente la porta alla speranza. E allora
scrisse che dobbiamo esaminare la possibilità che l’uomo "[…] possa portare un difetto di fabbricazione all'interno del suo cranio,
un errore costruttivo che potenzialmente minaccia la sua estinzione, ma che
potrebbe ancora essere corretto da uno sforzo supremo di autoriparazione". (The Ghost in the Machine, London,
Hutchinson & Co Publishers, 1967, p. 272)
Ma né la “sostanziale diminuzione della popolazione
umana” invocata da Naess né lo “sforzo
supremo di autoriparazione” ipotizzato da Koestler sono all’orizzonte. Al
contrario si prevede che gli attuali 7,6 miliardi di esseri umani diventino 9,8
entro il 2050 e 11,2 entro il 2100. In parallelo la produzione industriale
continua a dilagare, mentre il progresso tecnologico cerca disperatamente nuove
soluzioni per consentire il mantenimento di una tale moltitudine di uomini e
degli ancor più numerosi animali da macello.
Ed ecco allora
la necessità che una nuova teoria ci aiuti a comprendere chi realmente siamo e
perché ci comportiamo in un modo tanto distruttivo nei confronti degli altri
esseri con cui condividiamo questo pianeta.
Se fino ad oggi
l’ecologia profonda ha rappresentato lo stadio più avanzato di contrasto alla
ideologia progressista dominante, lasciando invano uno spiraglio alla speranza,
la nuova teoria intende mettere l’essere umano a nudo davanti allo specchio
della sua mente per mostrargli come il suo comportamento sia del tutto analogo
a quello delle cellule tumorali nel corpo di un ammalato di cancro.
Ho battezzato “Cancrismo”
questa teoria che ho iniziato ad illustrare nel mio libro “Il Cancro delPianeta”, a cui hanno fatto seguito due altri libri (uno finalizzato a rendere consapevole l’uomo contemporaneo di questa sua natura maligna e l'altro descrittivo dell'organizzazione della socità ai tempi dell'ecocidio).
Perché
diffondere una siffatta teoria, che contraddice la positività della nostra
attività intellettiva?
Innanzitutto
per amore di verità. Ritengo moralmente doveroso far partecipe l’essere umano
di questa visione del mondo, per quanto sgradevole essa sia.
In secondo
luogo per gli effetti incogniti che potrebbero scaturire dalla consapevolezza
di essere agenti maligni anziché figli prediletti del creatore.
Ci sarà un
momento, ma non ipotizzo date, in cui l’aggrovigliarsi dei problemi, le
dimensioni dei medesimi e la nostra incapacità a fronteggiarli adeguatamente, condurranno
a crisi inenarrabili. Gli scaffali vuoti dei supermercati, le bande dei
razziatori, la fuga precipitosa dalle città saranno solo alcuni dei tragici
aspetti di queste crisi. E allora tutti rimpiangeranno di non aver dato avvio
per tempo ad una “sostanziale diminuzione
della popolazione umana” e ad uno “sforzo
supremo di autoriparazione”, e vorrebbero riuscire a farlo sotto
l’incalzare degli avvenimenti.
E se gli sforzi
collettivi di risanamento si provasse a farli a seguito dell’acquisita
consapevolezza di essere il cancro del pianeta anziché sotto l’urgenza di crisi
incombenti?
Una cosa è
certa: la nostra intelligenza è l’arma più forte. Ci ha consentito di divenire
i re del mondo ma ci ha anche trasformati in agenti distruttori dell’armonia
della natura. Proviamo a utilizzarla contro se stessa.
L’andamento
attuale non lascia adito a speranze. Le nostre ricerche continuano ad essere
indirizzate verso progresso e sviluppo.
"Se le cellule del cancro potessero
esprimersi, probabilmente avrebbero un’idea dello “sviluppo” assai simile a
quella della civiltà industriale, che invade, rendendole uniformi, le altre
specie e le altre culture umane, con andamento analogo a quello dei tumori che
avanzano a spese delle altre cellule dell’Organismo…" (Guido Dalla Casa,
op. cit., p. 40)
La
consapevolezza di essere il cancro del pianeta potrà indurci ad innestare la
retromarcia? Dipende da quanto il “Cancrismo” riuscirà ad incidere sulle élite
intellettuali, politiche, scientifiche ed economiche e sulle masse che ne
subiscono passivamente l’influenza.
da Guido Dalla Casa: "Qui ci si riferisce sempre all’uomo occidentale (o occidentalizzato). Non riesco a capire che problemi abbiano dato alla Natura i Boscimani, gli Eschimesi, gli abitanti dell’altopiano tibetano, gli Hopi, i Sentinelesi delle Andamane, tanto per nominare solo qualcuna delle cinquemila culture umane apparse sul Pianeta. Sarebbero ancora là, se non fossero state di fatto distrutte dall’Occidente. Il cervello è sostanzialmente uguale al nostro. Il male è la civiltà industriale con le sue premesse filosofiche e il suo folle primato dell’economia e della crescita: purtroppo ha invaso tutto il mondo distruggendo le altre culture. Comunque, sul piano pratico e attuale, l’Ecologia Profonda e il Cancrismo vanno perfettamente d’accordo."
RispondiElimina