mercoledì 17 febbraio 2021

Di troppa intelligenza ... si muore, di Bruno Sebastiani

 

Peter Paul Rubens, Prometeo incatenato


Ho sempre considerato l’intelligenza come la caratteristica più importante di una persona.

Nel selezionare partner e amicizie ho sempre anteposto la ricerca dell’intelligenza a quella di ogni altra caratteristica, quali bellezza, bontà, sensibilità ecc.

Ma, a un certo punto della mia vita, ho avuto la curiosità di provare ad osservare la realtà non con i miei occhi ma con quelli del pianeta che ci ospita.

Credo che questo sia un esercizio di intelligenza assai impegnativo che ognuno dovrebbe tentare di compiere, perché essere intelligenti significa anche essere capaci di uscire dalla propria realtà per immedesimarsi in un’altra.

Normalmente le altre realtà con le quali ci si confronta sono quelle delle persone che ci circondano. E questo è già un esercizio molto difficile che pochi amano fare.

Come l’esperienza insegna, anche nelle conversazioni tra amici ognuno cerca costantemente di prevaricare il pensiero altrui riportando sempre i discorsi alla propria realtà, talvolta in modo veramente fastidioso.

Riuscire ad interloquire con gli altri ponendosi nei panni di chi ci sta di fronte è già quindi un’autentica dimostrazione di intelligenza superiore alla media.

Ma al di sopra di chi ci sta di fronte esiste una realtà molto più vasta, quella della natura di cui facciamo parte, del pianeta che ci ospita.

E cosa si può intravvedere osservando questa realtà con la nostra intelligenza, come se fosse quella del pianeta medesimo?

La realtà vista con gli occhi del pianeta

La vita, fenomeno raro e meraviglioso, è andata diffondendosi su questo pianeta dopo miliardi di anni trascorsi in un susseguirsi di eventi cosmici e in un ribollire di elementi naturali.

Non sappiamo su quali e quanti altri corpi celesti essa si sia sviluppata. Forse in molti, forse in nessuno. Ma questa constatazione esula dalle nostre capacità esplorative e quindi la tralasciamo.

Ciò che tocchiamo, sperimentiamo quotidianamente è la vita che ci circonda, quella in cui siamo immersi, la nostra e quella di tutti gli altri esseri animati.

Questo “complesso di elementi organici” aveva raggiunto un suo equilibrio armonico, seppure in costante, lenta, lentissima evoluzione, finché alcune migliaia di anni fa un certo organo di un certo animale si sviluppò sino a consentire a quell’animale di sopraffare ogni altro essere vivente, contravvenendo le leggi di natura preposte al mantenimento dell’equilibrio.

Quell’organo era il cervello e quell’animale era l’uomo che, a seguito di quell’abnorme sviluppo, divenne intelligente e poté sottomettere la natura che lo circondava.

Per farlo dovette moltiplicarsi ben al di là di quanto fosse previsto dalle leggi di natura e dovette moltiplicare piante e animali necessari al suo sostentamento, lasciando al proprio destino (nel migliore dei casi) o annientando (nel peggiore) ogni altra realtà dotata di vita.

I dati e le cifre al riguardo sono abbondanti e facilmente reperibili, per cui ometto di citarli e invito il lettore a cercarli in rete o su uno dei tanti libri disponibili sull’argomento.

Invito soprattutto il lettore a riflettere su quale giudizio dell’opera dell’uomo darebbe madre natura se fosse dotata di un’intelligenza simile alla nostra.

La capacità di rompere l'equilibrio, l'incapacità di ricomporlo

Madre natura non è dotata di un'intelligenza individuale, così come noi la intendiamo, ma è dotata di capacità autoregolative infinitamente più complesse, affinatesi in miliardi e miliardi di anni.

Di fronte a tali capacità l’intelletto umano, di cui andiamo tanto fieri, è solo quella povera cosa che ci ha consentito di spezzare momentaneamente a nostro vantaggio l’equilibrio della biosfera, ma che non ci consente, data la sua limitatezza, di ricomporlo nuovamente in modo altrettanto valido.

In tante parti del mondo noi oggi stiamo ancora godendo dei privilegi che la rottura dell’equilibrio cosmico ci ha procurato.

Ma l’esercizio intellettuale che propongo, e cioè osservare la realtà come se la nostra intelligenza fosse quella del pianeta, intende dimostrare senza ombra di dubbio come la situazione creatasi non sia a lungo sostenibile e come la natura prima o poi ricostituirà un suo nuovo equilibrio, nel quale una specie come la nostra non troverà posto.

Per indurre i miei lettori ad effettuare una seria riflessione su questo argomento mi sono cimentato in una provocazione intellettuale: ho paragonato l’umanità al cancro del pianeta, in modo da scuotere violentemente la coscienza di ognuno, invitandola ad osservare la realtà in ottica geocentrica anziché antropocentrica.

Per sviluppare il tema in questo blog parleremo spesso anche di "limiti dell'intelligenza", perché l’intelligenza è un bene, ma quando diventa troppa … uccide!

3 commenti:

  1. Bisogna anche prendere in considerazione la possibilità che la teoria della "troppa" intelligenza sia completamente sbagliata. Forse si tratta proprio dell'esatto contrario, forse con la crescita del cervello "cresce la stupidità", forse stiamo diventando stupidi. D'altra parte, facendo un parallelismo, sappiamo tutti che quando cresce la pancia non si diventa più belli: si diventa più brutti. E sappiamo benissimo che anche uno stupido, probabilmente, pensa di essere intelligente. Quindi forse è meglio ragionarci ancora un po' su.

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  2. Bellissimo articolo.

    Gianni Tiziano

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