E
se la nostra intelligenza anziché essere una scintilla divina o una mirabile
opera della natura (a seconda che ci si riconosca nel creazionismo o
nell’evoluzionismo) fosse un tragico errore del processo evolutivo della vita,
una via “svantaggiosa” imboccata casualmente da madre natura che ben presto
l’abbandonerà per far ritorno a forme di vita meno distruttive per l’ambiente?
A questa domanda, tanto angosciante quanto di basilare importanza per tutto il genere umano, ho tentato di dare una risposta con la teoria contenuta nel saggio “Il Cancro del Pianeta” (Armando Editore, Roma, 2017).
E la risposta, purtroppo, è stata affermativa. Sì, la nostra intelligenza è il frutto di un’abnorme evoluzione patita dal nostro cervello, evoluzione che ci ha posti in grado di modificare l’ambiente che ci circonda a nostro vantaggio, ma a svantaggio di ogni altra realtà del pianeta.
Fin
qui qualcuno potrebbe dire: che male c’è? Noi apparteniamo alla specie Homo sapiens, siamo all’apice della
catena della vita ed è giusto che ci preoccupiamo principalmente di noi stessi.
Sennonché
la nostra vita dipende da tutte le altre realtà esistenti sul pianeta, realtà
che stiamo dissennatamente e sistematicamente annientando! È come se ci
trovassimo su una nave e continuassimo ad imbarcare acqua: prima o poi ci sarà
il naufragio!
Il
punto è proprio questo: la “scintilla divina” (o “mirabile opera della natura”)
ci ha consentito di piegare a nostro vantaggio le leggi stesse della natura, di
squilibrare, sempre a nostro vantaggio, il delicato ed ultra complesso sistema
di congegni e meccanismi biologici formatisi spontaneamente in milioni e
milioni di anni, e ci ha consentito di farlo in un battibaleno, in poche
migliaia di anni, un’inezia di tempo cosmico. Ma non ci ha consentito di creare
un nuovo equilibrio altrettanto solido come quello che abbiamo distrutto.
La
nostra intelligenza (o ragione) è il software che gira nel nostro cervello ed è
lo strumento più potente sviluppatosi su questo pianeta. Ma la sua potenza è
niente rispetto a quella necessaria per governare in modo stabile ed
equilibrato le innumerevoli variabili presenti in natura.
Erano
nel giusto gli antichi asceti che si annientavano di fronte all’ignoto che essi
chiamavano onnipotenza divina.
Ma
l’essere umano non ha seguito la loro strada perché non poteva che
intraprendere il cammino del cosiddetto “progresso”, indotto a ciò due impulsi
irrefrenabili, e cioè:
-
da
un lato la continua, spontanea crescita (e potenza elaborativa) del cervello, da
meno di 500 cc a 1.400 cc in poco più di due milioni di anni;
-
dall’altro
lato l’istinto di sopravvivenza della specie, presente in ogni appartenente al
regno animale e preposto al mantenimento dell’equilibrio numerico tra tutti gli
esseri viventi.
Questo
istinto ha normalmente la funzione di non far prevalere una specie sulle altre:
alcuni animali hanno sviluppato la forza fisica, altri l’agilità, altri la
velocità, altri ancora il mimetismo e così via. Ognuna di queste “doti” si è
evoluta al fine di consentire a ciascuna specie la conservazione del proprio
posto nel mondo della natura, all’interno di un equilibrio dinamico in continuo
movimento.
Tale
equilibrio in passato, milioni di anni or sono, si è spezzato più volte a causa
di eventi catastrofici, quali impatti con asteroidi, glaciazioni, collisioni di
placche tettoniche, eruzioni ecc. Ed ogni volta, dopo la catastrofe, la vita ha
ripreso ad evolvere, sotto vecchie e nuove forme, fino a ricostituire il suo
equilibrio dinamico.
Al
di fuori di questi eventi, che condussero alle cosiddette “estinzioni di
massa”, alcune specie si estinguono per motivi naturali, di norma per il venir
meno delle loro specifiche fonti di sostentamento o l’insorgere di particolari
mutazioni climatiche. Queste estinzioni, dette “estinzioni di fondo” (in
inglese “background extinctions”) sono assai rare, nell’ordine di 4 – 5
famiglie ogni milione di anni.
Ma
ai nostri giorni l’equilibrio che presiede alla contemporanea convivenza di
tutte le specie viventi si è nuovamente spezzato, e non per motivi riconducibili
ad eventi catastrofici, bensì a causa dell’utilizzo che stiamo facendo delle
capacità intellettuali di cui ci siamo trovati involontariamente a disporre.
In
pratica nella lotta per la vita, abitualmente regolata dall’istinto di
sopravvivenza, noi uomini siamo intervenuti con la nuova super arma fornitaci
dall’abnorme evoluzione del nostro cervello, abbiamo sbaragliato tutti gli
avversari e siamo rimasti soli a dominare su tutti i regni della natura.
Ma
così come è stato facile trionfare su ogni essere animato e inanimato presente
sul pianeta, è altrettanto difficile ricreare un nuovo equilibrio che
garantisca la continuità della vita sulla Terra. Il nostro trionfo ha
comportato la diffusione del genere umano in ogni angolo del globo con un ritmo
vertiginoso, cui ha corrisposto per contrappeso l’annientamento di tutte le
forme di vita non riconducibili ad un diretto utilizzo antropico (alimentare in
primis). Il nostro egoismo è stato tanto cieco da non farci comprendere che in
natura tutto è collegato all’interno di un grande super organismo entro cui è
germogliata la vita e di cui anche noi facciamo parte. Spezzando un’infinità di
anelli apparentemente inutili, abbiamo interrotto il flusso vitale del super
organismo, ed ora ne patiamo le conseguenze che portano i nomi tristemente noti
di inquinamento, riscaldamento globale, desertificazione, sovrappopolazione
ecc. ecc.
Come
non intravvedere una corrispondenza tra questo tipo di comportamento e quello
delle cellule in cui il materiale genetico muta al punto da trasformarle in
agenti cancerosi, restii ad accettare la morte cellulare programmata (apoptosi)
e destinati ad innescare con la loro proliferazione incontrollata il processo
tumorale?
A
mio avviso non ha grande importanza che questa correlazione abbia basi
scientifiche o meno. Ciò che conta è che faccia intendere all’essere umano come
il progresso di cui va tanto orgoglioso, la cosiddetta civiltà, altro non sia
per l’ecosfera se non una malattia che tutto distrugge. Questo morbo, vero e
proprio cancro del pianeta, minaccia di far sparire la vita in una nuova
estinzione di massa, indotta questa volta non da eventi esogeni, ma da un
errore commesso da madre natura stessa, una via svantaggiosa imboccata
casualmente che presto sarà abbandonata, come ogni errore prodottosi nel corso
del processo evolutivo.
Oggi
ci troviamo in una situazione ambigua. Non possiamo negare gli enormi benefici
che il progresso ha comportato per tanta parte dell’umanità. Ma non possiamo
ignorare i danni irreversibili che abbiamo già causato all’ambiente e agli
altri esseri viventi, danni che prossimamente si ritorceranno anche contro di
noi.
Quando
il cancro conclude la sua opera nefasta anche le cellule cancerose scompaiono
insieme ai tessuti sani che hanno distrutto.
Ecco
questa è la visione realistica contenuta nel mio saggio. Non mi sono posto il
problema della “guarigione” perché ritengo che la “malattia” sia giunta ad un
punto tale da lasciare ben poche speranze di risanamento.
Ho
mantenuto però un barlume di speranza individuale, laddove ho suggerito a chi
ne ha la possibilità di cercare rifugio in quel poco di natura che resta, come abbiamo
fatto io e mia moglie che abbiamo lasciato la città in cui vivevamo (Milano) e
ci siamo trasferiti in una casa ai margini di un bosco. Qui abbiamo aperto un
Bed & Breakfast, al quale abbiamo dato nientemeno che il nome di Joie de
Vivre.
Se
la speranza collettiva non ha più ragion d’essere, rimane pur sempre la
speranza individuale!
Il cancro è nella mente dell’uomo e nella sua attitudine predatoria …. Noi apparteniamo alla Natura è non viceversa … la Natura si riprende in qualsiasi momento il suo legittimo potere !
RispondiElimina