Il Prof. Giuseppe Remuzzi,
Direttore dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri, ha pubblicato
sul Corriere della Sera del 21 marzo 2019 un articolo dal titolo “Più
intelligenti e con più memoria – Il caso delle gemelline nate in Cina dopo l’editing
genetico”.
L’intero articolo è consultabile nel sito de “Il Cancro del Pianeta” .
L’elemento più importante che emerge dallo scritto è che un particolare intervento di biogenetica sarebbe in grado di potenziare memoria e intelligenza.
I soggetti sottoposti a
questa pratica di “editing genetico” vengono privati della proteina CCR5 che è “porta
d’entrata del virus dell’HIV ma anche inibitore naturale delle sinapsi fra i
neuroni di quella regione del cervello che ci aiuta a ricordare (ippocampo). Se
togli questo freno potenzi le facoltà intellettuali”.
Come in altri casi, una ricerca
scientifica rivolta a un settore specifico (nella fattispecie la prevenzione
dell’AIDS) si può rivelare decisiva in un ambito ben più ampio.
Si noti che il discorso
non concerne solo gli umani, ma vale anche per altre specie: i “topi privati
del gene CCR5 … sono più intelligenti degli altri”.
La notizia ha fatto
scalpore in quanto uno scienziato cinese, He Jiankui, ha annunciato nel
novembre 2018 di aver applicato la tecnica in questione al DNA di alcuni
embrioni umani, dai quali sono nate due gemelline, teoricamente immuni
dall’infezione da HIV, ma, soprattutto, predestinate a sviluppare un livello di
intelligenza e di memoria superiori alla media.
Si tratta dei primi esseri
umani “geneticamente modificati” e, al di là di quelle che saranno le
necessarie verifiche sull’esito dell’operazione, la vicenda può essere presa
come spunto per importanti considerazioni sui limiti dell’intelligenza e sugli
sforzi che l’uomo compie per superarli.
Sin dai miti più antichi l’ambizione
umana si è rivolta verso l’espansione dell’intelligenza e verso l’allungamento
della vita (esplicite al riguardo le promesse del serpente ad Adamo ed Eva).
In realtà il cervello dell’uomo
è già di gran lunga il più potente ed efficiente tra tutti quelli esistenti.
Ma all’essere umano questo
non basta. I motivi di tale insoddisfazione sono essenzialmente due.
Da una parte vi è la insaziabile
volontà di potenza di nietzschiana memoria, frutto dell’incontro tra l’istinto
di sopravvivenza e le capacità cerebrali super-evolute: più si è forti e
potenti più si vorrebbe esserlo per meglio sottomettere e dominare ciò che ci
circonda.
Da un altro lato l’autocoscienza
ci mostra come la Natura sia immensa e le nostre forze siano misere rispetto alle
sue. Riusciamo a modificare temporaneamente a nostro vantaggio molte leggi
naturali, ma poi queste si rivoltano contro di noi e rischiamo di finire
sopraffatti come le tante specie vegetali e animali che abbiamo già condotto
all’estinzione.
Ecco allora che un surplus
di intelligenza potrebbe forse consentirci di continuare a navigare ancora per
un po’ in mezzo alla tempesta che abbiamo scatenato.
In questa direzione vanno le
ricerche sulla rete mondiale destinata a collegare tutti i cervelli umani e
quelle sull’intelligenza artificiale, alle quali dedicherò la mia attenzione in
prossimi scritti.
Ma anche l’intervento
effettuato da He Jiankui va in tale direzione, pur se non è ancora dato di
sapere quale sarà la sua effettiva efficacia e validità. Emblematica al
riguardo è la frase di chiusura dell’articolo di Remuzzi: “Il compito degli
scienziati per adesso è solo quello di essere sicuri che questa tecnica
eventualmente funzioni e che non crei problemi più grandi di quanti ne vorremmo
risolvere.”
Si potrebbe ribattere che l’insieme
di tutte le tecniche scientifiche, a fronte di indubitabili vantaggi nel breve
periodo, hanno già creato all’uomo (e alla biosfera) problemi più grandi di quanti
l’intelligenza umana sia oggi in grado di gestire.
E si può aggiungere che è
proprio questo il motivo per cui fioriscono ovunque i vari tentativi di
espandere le capacità cerebrali dei singoli individui, della collettività e
delle macchine.
Ma il proliferare di
questi sforzi è anche la migliore conferma della limitatezza della intelligenza
umana, argomento al quale avevo a suo tempo dedicato una rubrica su Neuroscienze.net.
Se la nostra superiorità
fosse assoluta perché mai dovremmo cercare di espanderla?
La realtà è ben diversa da
come la osserviamo. Elaboriamo ogni pensiero come se fossimo al centro della
scena perché possiamo vedere o sentire ciò che ci circonda solo con i nostri
occhi e con le nostre orecchie. È la famosa visione antropocentrica della
realtà.
Se, una volta tanto,
utilizzassimo la nostra capacità di astrazione non per elaborare teorie tanto astruse
quanto dannose per la Natura ma per immaginarci fuori dal nostro corpo e per guardarci
da lontanissimo (con un telescopio?), ebbene allora appariremmo minuscoli come
formiche, batteri, virus, infimi animaletti circondati da monti e valli tanto
più grandi di noi.
Allora forse freneremmo la
nostra smania di crescere numericamente a dismisura e di divorare ogni risorsa
del pianeta per nutrire l’immensa schiera di animaletti che abbiamo prodotto e
riprodotto.
Questa è la visione ecocentrica
della realtà, di fronte alla quale non ha senso cercare di espandere ulteriormente
le nostre capacità intellettuali.
Al contrario. Dovremmo
accettare con gioia la limitatezza della nostra intelligenza, augurandoci un suo
regresso ed auspicando la diffusione planetaria di modelli sociali basati sulla
decrescita anziché sul consumismo più folle e deleterio.
Cervelli più potenti potrebbero creare solo disastri più catastrofici, perché comunque sarebbero nulla rispetto alla potenza della Natura.
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