A pag. 375 de “L’uomo e l’invisibile” (Borla Editore, Torino, 1967) Jean Servier scrive:
“L’impero è per l’umanità e per la società da cui trae origine ciò che il cancro è per il corpo umano: una proliferazione disordinata di cellule a detrimento dell’armonia dell’insieme. C’è forse una strutturazione delle cellule cancerose, così come c’è un’apparente armonia nell’organizzazione dell’impero: l’una e l’altra sono tuttavia agenti di distruzione.”
Partiamo da questo assunto per verificare se l’analogia proposta tra impero e cancro può in qualche modo configurarsi come antesignana della teoria a cui ho dato nome di Cancrismo.
L’intera opera di Jean Servier, etnologo francese nato e vissuto a lungo in Algeria, sottintende un profondo dualismo tra le cosiddette “civiltà tradizionali” e la “civiltà dell’uomo bianco occidentale”.
Le prime sarebbero contraddistinte da un diretto contatto con l’“invisibile”, termine con il quale Servier definisce la sfera soprannaturale del sacro. Le divinità sono tante quante le etnìe umane e ognuna è contraddistinta da sue specifiche caratteristiche, ma, al di là di ogni particolarità, il “divino” ha sempre guidato ovunque nel mondo il comportamento di ogni appartenente al genere umano, fino all’avvento della cosiddetta “civiltà dell’uomo bianco occidentale”.
Quest’ultima è andata affermandosi per gradi, favorita nella sua avanzata dall’instaurarsi degli “imperi”, vere e proprie “[…] prefigurazioni della civiltà occidentale per la loro volontà di egemonia […] questi regni della materia hanno trascinato con sé un indebolimento dei valori spirituali dando all’uomo, come unico scopo della sua vita terrena, la conquista dei beni di questo mondo.” (p. 418)
Tutti i più famosi imperi della storia sono crollati, lasciando dietro di sé cumuli di macerie materiali e morali. Ma, con la loro decomposizione, hanno contribuito all’edificazione di quello che è oggi l’Impero più grande, da Servier definito “civiltà occidentale” e che io ho denominato “L’Impero del Cancro del Pianeta” (titolo del mio libro edito da Mimesis).
A questa mostruosa realtà Servier dedica un ulteriore accostamento al cancro:
“La nostra civiltà porta in sé il germe di un processo inevitabile di distruzione. Divenuta un fine in sé, la nostra società disintegra l’individuo al punto di renderlo inadatto al servizio efficace della collettività, come, in certi cancri del sangue, i globuli bianchi divorano i globuli rossi e indeboliscono l’organismo che dovrebbero invece difendere.” (p. 419)
Non vi sono altri punti in cui venga riproposto l’accostamento dell’essere umano al cancro, ma l’intero messaggio di Servier spinge a ritenere l’uomo bianco occidentale un agente distruttore dell’armonia che regnava sulla Terra e il suo dissennato comportamento è paragonato a quello dei lemmings, piccoli roditori che compiono lunghe marce e “raggiunta la loro meta, si gettano nel mare e vi annegano.” (p. 421)
Le “civiltà tradizionali” si riconoscono nel mito del “peccato originale”, “[…] sono coscienti di aver perduto un “paradiso” primordiale, tutte si considerano in stato di caduta.” (p. 388) Anche per questo motivo chi ne fa parte cerca di mantenersi in costante contatto con l’invisibile, di osservarne i comandamenti e di preservare l’armonia dell’Universo già messa in pericolo dalla disobbedienza primigenia.
Al contrario, l’uomo bianco occidentale concepisce “la storia come un corso lineare” (p. 397) che, da un inizio di stenti, tende al superamento di ogni ostacolo per affermarsi su tutto e su tutti con una marcia verso il suo inarrestabile progresso.
La narrazione di Servier è estremamente ricca di esempi relativi a miti, riti e leggende (tutti vissuti come reali) di appartenenti alle “civiltà tradizionali”. Egli si rifiuta di ritenere costoro primitivi, o, peggio, selvaggi. Essi sono uomini saggi, rispettosi delle tradizioni ricevute dagli antenati e intenzionati a conservarle per non spezzare l’armonia voluta dall’“invisibile”. Il termine “armonia” è tra i più frequenti nel lessico di Servier.
Ma se nelle antiche civiltà e in quelle non contaminate dall’occidente (se ancora ce ne sono) la vita scorre in modo così armonioso, rispettoso delle tradizioni e in equilibrio con la Natura, come e perché l’uomo bianco ha potuto conquistarle e distruggerle?
Questa è la domanda che sorge spontanea scorrendo le pagine del libro di Servier. Oltretutto egli afferma che “L’occidente ha scelto lo sviluppo illimitato delle tecniche senza avere il tempo per domandarsi se in questa scelta non aveva rischiato e perso la propria anima.” (p. 211)
Questa affermazione e altre contenute nel testo paiono sottintendere che il passaggio dalla “civiltà tradizionale” a quella “bianca occidentale” sia avvenuto in conseguenza a una nuova “caduta”, una sorta di peccato originale “laico”, compiuto cioè non per disobbedire ai comandamenti di un ipotetico creatore, non più venerato, ma semplicemente per inseguire una volontà di potenza “imperiale”, tesa a tutto sottomettere e tutto riformare in senso materiale e utilitaristico.
Qui ci troviamo di fronte alla differente interpretazione della realtà che fa divergere la “visione del mondo” di Servier (e, aggiungo io, dell’Ecologia Profonda) da quella del Cancrismo (cfr. il mio precedente articolo “Il Cancrismo come superamento dell’Ecologia Profonda”).
In estrema sintesi, secondo Servier:
- tutte le “civiltà tradizionali” si riconoscono nel mito della caduta, del “peccato originale”
- di lì in avanti sviluppano un rapporto di armonia con il Tutto suggellato da un formidabile patto di alleanza con l’“invisibile”
- tutto ciò permane sin quando una civiltà tra oltre cinquemila, quella dell’“uomo bianco occidentale”, infrange questo patto a favore del più abietto egoismo materialista di specie, e trascina in questa sua nuova folle avventura tutte le “civiltà tradizionali” che incontra sul suo cammino.
Non l’uomo in sé, quindi, sarebbe il cancro del pianeta, ma questa distorta visione del mondo che si è identificata prima nei grandi imperi della storia e poi nel progresso materiale fine a se stesso, sfociato alcuni secoli or sono nella rivoluzione industriale e in tutte le novità tecnologiche che stanno devastando la biosfera.
Il Cancrismo, più realisticamente, non scorge discontinuità tra il modo di vivere delle “civiltà tradizionali” e quello dell’“uomo bianco occidentale”.
L’essere umano ha sempre cercato di prevaricare il “diverso”, così come ha sempre fatto ogni specie (vegetale o animale) partorita da Madre Natura. Basti pensare all’edera che avvolge l’albero o al lupo che mangia l’agnello.
Ma l’essere umano, a un certo punto del percorso evolutivo, ha sviluppato in modo abnorme il suo “organo di comando” e, in conseguenza di ciò, è riuscito a dominare ogni altra specie partorita da Madre Natura.
Dapprima questa sua azione non è stata evidente, data l’immensa estensione della foresta vergine e l’enorme quantità e varietà della fauna esistente. Poi, con estrema ma continua gradualità, l’erosione del patrimonio forestale e faunistico è divenuta via via sempre più evidente, sino alla tragica situazione attuale.
Quando, come e quanto i cosiddetti primitivi abbiano iniziato a devastare la Natura è il tema del mio articolo “La distruzione della Natura nell’antichità”.
In conclusione, Jean Servier è stato un convinto avversario del progresso tecno-scientifico-industriale che ha portato alla devastazione della biosfera, e in tal senso, il suo nome può a buon diritto essere iscritto tra quelli dei precursori del Cancrismo. Ma la sua critica alla modernità si è limitata a condannare la “civiltà dell’uomo bianco occidentale” e non si è estesa al genere Homo sapiens in quanto tale.
Anzi, quest’ultimo è stato gratificato di sincera ammirazione laddove appartenente alle cosiddette “civiltà tradizionali”.
A distanza di quasi sessant’anni dalla prima pubblicazione de “L’Homme et l’invisible” si può affermare che di tali “civiltà” non rimane pressoché traccia: esse stesse sono divenute “invisibili”, salvo cercarle in qualche documentario da cineteca.
E la “civiltà dell’uomo bianco occidentale” è divenuta sempre più il modus vivendi universale, ovunque imperante. La Cina e tanti altri Paesi asiatici stanno soppiantando Europa e America come locomotive trainanti dell’economia mondiale, mentre India e Africa sono in attesa di unirsi al convoglio.
L’avverarsi di questa realtà è la più evidente, tragica, conferma di come non sussistano contrasti insanabili tra le “civiltà”, più o meno evolute, che si sono sviluppate sul pianeta Terra. Una, la più avanzata materialmente, ha approfittato della propria superiorità per “convincere” le altre ad adottare il suo stile di vita. Ma queste, generazione dopo generazione, lo hanno fatto di buon grado, sino a superare l’“uomo bianco occidentale” nell’inquinare, deforestare e devastare l’ambiente.
Servier dà questa spiegazione di quanto è accaduto:
“Il contatto dell’uomo bianco è stato più mortale per le civiltà tradizionali che una qualsiasi lebbra. Il solo possesso dei beni che egli vendeva ha annientato popolazioni intere come se essi trasmettessero un misterioso contagio.” (p. 416)
Personalmente avrei preferito che questo contagio non fosse mai avvenuto e che l’uomo sulla Terra avesse continuato a vivere in equilibrio con ogni altra specie, seguendo i presunti insegnamenti dell’“Invisibile”.
Ma se le cose non sono andate così è perché lo sviluppo dell’encefalo di Homo sapiens non poteva fermarsi a un determinato stadio. Una volta innescata l’abnorme crescita, il secolo dei lumi e il progresso scientifico erano realtà ineluttabili, con il loro conseguente strascico di industrializzazione, di aggressione alle risorse del pianeta e di ogni altro sfregio all’armonia della Natura.
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