venerdì 22 aprile 2022

Se l'aria fosse un farmaco, di Stefano Ceccarelli

 (fonte: Stop fonti fossili)


Facciamo finta – ma poi neanche tanto – che l’aria che respiriamo sia un farmaco da somministrarsi per via inalatoria (lo chiameremo appunto ARIA®), ed analizziamone la composizione quali-quantitativa stabilita al momento dell’Autorizzazione all’immissione in commercio, che possiamo datare all’anno 1780 (vedremo più avanti il perché di questa data; in realtà il prodotto veniva usato già da molti millenni prima di allora). Limitiamoci per semplicità a considerare i quattro componenti più abbondanti del medicinale:

  • Azoto (N2): 78,084%
  • Ossigeno (O2): 20,946%
  • Argon (Ar): 0,934%
  • Anidride carbonica (CO2): 0,028% (280 ppm)

tralasciando le sostanze presenti in tracce (< 20 ppm), quali neon, elio, metano, kripton e idrogeno, e non considerando il vapore acqueo le cui specifiche sono molto larghe (da 0 a 6%) in funzione delle condizioni di conservazione del prodotto (ARIA® può essere ben conservato in climi sia asciutti che umidi).

Per ogni farmaco, dobbiamo chiederci quali sono i principi attivi e quali gli eccipienti. Nel caso di ARIA® possiamo certamente considerare l’argon come un eccipiente, in quanto si tratta di un gas nobile inerte e privo di qualsiasi attività. Il composto di gran lunga più abbondante, l’azoto molecolare, sebbene possieda una notevole efficacia in alcuni organismi viventi, e segnatamente nei microrganismi azotofissatori, non esercita alcuna azione sugli esseri umani, e deve essere quindi senz’altro annoverato anch’esso fra gli eccipienti inattivi, esercitando la mera funzione di veicolo.

Restano dunque due sostanze candidate ad essere riportate nel foglio illustrativo quali principi attivi del medicinale ARIA®: si tratta di ossigeno e anidride carbonica. Che l’ossigeno, in quanto gas essenziale per la respirazione, sia un componente attivo dell’aria è del tutto ovvio e non richiede ulteriori spiegazioni. Peraltro il suo dosaggio all’interno del farmaco deve essere compreso entro limiti molto ristretti: sappiamo ad esempio che in alta montagna, dove il tenore di O2 si abbassa, i pazienti presentano i sintomi dell’ipossia che, se non tempestivamente e opportunamente trattati, possono risultare anche letali.

Passando all’anidride carbonica, dobbiamo giustamente domandarci se sia corretto considerarla come una sostanza attiva dal momento che questo gas è presente in così piccole quantità nel prodotto finito. La risposta a questa domanda è senza dubbio affermativa, e la ragione sta nel fatto che senza la CO2 il farmaco semplicemente non potrebbe essere somministrato in quanto non ci sarebbero organismi viventi ai quali somministrarlo: infatti l’anidride carbonica, essendo il più importante e il più abbondante fra i gas serra, fa in modo che parte della radiazione solare riflessa dalla Terra venga bloccata in atmosfera evitando che si disperda nello spazio cosmico e permettendo così al pianeta di registrare temperature che consentono il mantenimento della vita così come la conosciamo. Si badi bene, solo la CO2 fra i quattro componenti dichiarati di ARIA® possiede questa proprietà: senza questa sostanza la temperatura media della Terra a livello del mare sarebbe di -18°C, e il nostro pianeta risulterebbe dunque inospitale e senza vita come gli altri del sistema solare.

Fin qui tutto bene, quindi: il nostro farmaco, inalato tutti i giorni in dosi massicce, ha complessivamente garantito buona salute a tutti gli abitanti della Terra. Che si sappia, nessuna delle molte malattie che affliggono gli umani è causata dall’interazione con esso. ARIA® non ha controindicazioni; può (anzi deve) essere usato anche dalle donne in gravidanza e durante l’allattamento, può (deve) essere assunto prima, durante e dopo i pasti. Gli effetti indesiderati più comuni e più noti si verificano quando alcune impurità quali polveri, ossidi di azoto e altri inquinanti di origine antropogenica, introdotte artificiosamente nel medicinale – senza peraltro alcuna responsabilità del fabbricante – contaminano il prodotto provocando disturbi respiratori e altri effetti nocivi di varia natura.

C’è però un problema ben più serio emerso a seguito dei controlli di routine sul farmaco, che come è noto sono richiesti al fine di verificare che i valori analitici misurati siano conformi con le specifiche a cui il titolare della registrazione, la ditta Natura S.r.l., deve attenersi prima di rilasciare i lotti di prodotto sul mercato. Da tali analisi risulta infatti che la concentrazione di uno dei due principi attivi, la CO2, è oggi di 400 ppm contro i 280 ppm fissati nel dossier di registrazione. Si tratta come si vede di una deviazione molto consistente, pari al 43% in più del valore nominale, assolutamente inaccettabile se si pensa che per qualsiasi medicinale in commercio il titolo del principio attivo deve rientrare nel limite di ± 5%. Secondo le norme in vigore, in presenza di una simile non conformità il prodotto dovrebbe essere immediatamente richiamato dal mercato a tutela della salute pubblica. La Natura S.r.l. però sostiene (come darle torto?) che in assenza di un prodotto equivalente disponibile in commercio i danni alla salute derivanti da un ritiro di ARIA® dal mercato sarebbero infinitamente più gravi, almeno nell’immediato, di quelli che si avrebbero lasciando il prodotto in commercio. Inoltre l’azienda (che peraltro ad onor del vero non sta ricavando alcun profitto dalla commercializzazione del farmaco, anzi pare che sia ormai prossima a portare i libri in tribunale) si difende sostenendo che, come per le impurezze presenti in tracce, non è affatto responsabile dell’aumento della CO2, che è invece da addebitarsi ai molti (anzi, troppi) utilizzatori del farmaco, che dall’inizio della rivoluzione industriale (convenzionalmente datata al 1780) continuano ad immettere CO2 in atmosfera bruciando combustibili fossili e radendo al suolo foreste. Del resto il livello delle emissioni contaminanti è inimmaginabile, attestandosi oggi a 40 gigatonnellate all’anno, vale a dire un numero espresso in grammi pari a 4 seguito da sedici zeri.

Ma cosa comporta questa deviazione del 43% dalla specifica del principio attivo CO2? Beh, non dovrebbe essere difficile capirlo conoscendo il ruolo della sostanza: se grazie all’effetto serra una concentrazione di soli 280 ppm è sufficiente a rendere la Terra abbastanza tiepida da sostenere i processi viventi, come si può pensare che una concentrazione quasi una volta e mezzo più grande non porti ad un significativo innalzamento delle temperature, con tutto quel che ne consegue? Perché arrampicarsi sugli specchi in modo autolesionista dando la colpa all’attività solare o a non meglio precisati fenomeni astronomici?

Ok, direte voi, ma qual è l’effetto nocivo sui singoli utilizzatori di ARIA® causato dal valore fuori specifica dell’anidride carbonica? In fin dei conti stiamo parlando di un farmaco, perciò dovremmo a rigore limitarci ad analizzare l’impatto di questa deviazione sulla salute degli individui. Compito non facile, in effetti. Gli esperti in farmacovigilanza stanno studiando intensamente il problema ma non sono ancora giunti ad una conclusione. Si sta però facendo strada un’ipotesi non del tutto peregrina, e cioè che l’aumento della quantità di CO2 inalata abbia in qualche modo indotto una sorta di narcolessia che ha reso gli umani non più in grado di comprendere ed elaborare un certo tipo di informazioni, e in modo particolare i ripetuti allarmi lanciati dalla stessa scienza sul vicolo cieco in cui ci stiamo collettivamente incamminando con il sovrasfruttamento delle risorse della Terra e con l’insostenibile accumulo dei prodotti di scarto delle attività umane. Insomma una pericolosa sindrome che conferisce immunità e resistenza a un certo tipo di fatti e che provoca l’incapacità a reagire e a prendere le necessarie contromisure.

Se così fosse, saremmo in mezzo ai guai, non credete?

 



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