(fonte: Stop fonti fossili)
Facciamo finta – ma
poi neanche tanto – che l’aria che respiriamo sia un farmaco da somministrarsi
per via inalatoria (lo chiameremo appunto ARIA®), ed analizziamone la
composizione quali-quantitativa stabilita al momento dell’Autorizzazione
all’immissione in commercio, che possiamo datare all’anno 1780 (vedremo più
avanti il perché di questa data; in realtà il prodotto veniva usato già da
molti millenni prima di allora). Limitiamoci per semplicità a considerare i
quattro componenti più abbondanti del medicinale:
- Azoto (N2): 78,084%
- Ossigeno (O2): 20,946%
- Argon (Ar): 0,934%
- Anidride carbonica (CO2): 0,028% (280
ppm)
tralasciando le sostanze presenti in tracce (< 20 ppm), quali neon, elio, metano, kripton e idrogeno, e non considerando il vapore acqueo le cui specifiche sono molto larghe (da 0 a 6%) in funzione delle condizioni di conservazione del prodotto (ARIA® può essere ben conservato in climi sia asciutti che umidi).
Per ogni farmaco,
dobbiamo chiederci quali sono i principi attivi e quali gli eccipienti. Nel
caso di ARIA® possiamo certamente considerare l’argon come un eccipiente, in
quanto si tratta di un gas nobile inerte e privo di qualsiasi attività. Il
composto di gran lunga più abbondante, l’azoto molecolare, sebbene possieda una
notevole efficacia in alcuni organismi viventi, e segnatamente nei
microrganismi azotofissatori, non esercita alcuna azione sugli esseri umani, e
deve essere quindi senz’altro annoverato anch’esso fra gli eccipienti inattivi,
esercitando la mera funzione di veicolo.
Restano dunque due
sostanze candidate ad essere riportate nel foglio illustrativo quali principi
attivi del medicinale ARIA®: si tratta di ossigeno e anidride
carbonica. Che l’ossigeno, in quanto gas essenziale per la respirazione,
sia un componente attivo dell’aria è del tutto ovvio e non richiede ulteriori
spiegazioni. Peraltro il suo dosaggio all’interno del farmaco deve essere
compreso entro limiti molto ristretti: sappiamo ad esempio che in alta
montagna, dove il tenore di O2 si abbassa, i pazienti
presentano i sintomi dell’ipossia che, se non tempestivamente e opportunamente
trattati, possono risultare anche letali.
Passando all’anidride
carbonica, dobbiamo giustamente domandarci se sia corretto considerarla come
una sostanza attiva dal momento che questo gas è presente in così piccole
quantità nel prodotto finito. La risposta a questa domanda è senza dubbio
affermativa, e la ragione sta nel fatto che senza la CO2 il
farmaco semplicemente non potrebbe essere somministrato in quanto non ci
sarebbero organismi viventi ai quali somministrarlo: infatti l’anidride
carbonica, essendo il più importante e il più abbondante fra i gas serra, fa in
modo che parte della radiazione solare riflessa dalla Terra venga bloccata in
atmosfera evitando che si disperda nello spazio cosmico e permettendo così al
pianeta di registrare temperature che consentono il mantenimento della vita
così come la conosciamo. Si badi bene, solo la CO2 fra i
quattro componenti dichiarati di ARIA® possiede questa proprietà: senza questa
sostanza la temperatura media della Terra a livello del mare sarebbe di -18°C,
e il nostro pianeta risulterebbe dunque inospitale e senza vita come gli altri
del sistema solare.
Fin qui tutto bene,
quindi: il nostro farmaco, inalato tutti i giorni in dosi massicce, ha
complessivamente garantito buona salute a tutti gli abitanti della Terra. Che
si sappia, nessuna delle molte malattie che affliggono gli umani è causata
dall’interazione con esso. ARIA® non ha controindicazioni; può (anzi deve)
essere usato anche dalle donne in gravidanza e durante l’allattamento, può
(deve) essere assunto prima, durante e dopo i pasti. Gli effetti indesiderati
più comuni e più noti si verificano quando alcune impurità quali polveri,
ossidi di azoto e altri inquinanti di origine antropogenica, introdotte
artificiosamente nel medicinale – senza peraltro alcuna responsabilità del
fabbricante – contaminano il prodotto provocando disturbi respiratori e altri
effetti nocivi di varia natura.
C’è però un problema
ben più serio emerso a seguito dei controlli di routine sul farmaco, che come è
noto sono richiesti al fine di verificare che i valori analitici misurati siano
conformi con le specifiche a cui il titolare della registrazione, la ditta
Natura S.r.l., deve attenersi prima di rilasciare i lotti di prodotto sul
mercato. Da tali analisi risulta infatti che la concentrazione di uno dei due
principi attivi, la CO2, è oggi di 400 ppm contro
i 280 ppm fissati nel dossier di registrazione. Si tratta come
si vede di una deviazione molto consistente, pari al 43% in più del valore
nominale, assolutamente inaccettabile se si pensa che per qualsiasi medicinale
in commercio il titolo del principio attivo deve rientrare nel limite di ± 5%.
Secondo le norme in vigore, in presenza di una simile non conformità il
prodotto dovrebbe essere immediatamente richiamato dal mercato a tutela della
salute pubblica. La Natura S.r.l. però sostiene (come darle torto?) che in
assenza di un prodotto equivalente disponibile in commercio i danni alla salute
derivanti da un ritiro di ARIA® dal mercato sarebbero infinitamente più gravi,
almeno nell’immediato, di quelli che si avrebbero lasciando il prodotto in
commercio. Inoltre l’azienda (che peraltro ad onor del vero non sta ricavando
alcun profitto dalla commercializzazione del farmaco, anzi pare che sia ormai
prossima a portare i libri in tribunale) si difende sostenendo che, come per le
impurezze presenti in tracce, non è affatto responsabile dell’aumento della CO2,
che è invece da addebitarsi ai molti (anzi, troppi) utilizzatori del farmaco,
che dall’inizio della rivoluzione industriale (convenzionalmente datata al
1780) continuano ad immettere CO2 in atmosfera bruciando
combustibili fossili e radendo al suolo foreste. Del resto il livello delle
emissioni contaminanti è inimmaginabile, attestandosi oggi a 40 gigatonnellate
all’anno, vale a dire un numero espresso in grammi pari a 4 seguito da sedici
zeri.
Ma cosa comporta
questa deviazione del 43% dalla specifica del principio attivo CO2?
Beh, non dovrebbe essere difficile capirlo conoscendo il ruolo della sostanza:
se grazie all’effetto serra una concentrazione di soli 280 ppm è sufficiente a
rendere la Terra abbastanza tiepida da sostenere i processi viventi, come si
può pensare che una concentrazione quasi una volta e mezzo più grande non porti
ad un significativo innalzamento delle temperature, con tutto quel che ne
consegue? Perché arrampicarsi sugli specchi in modo autolesionista dando la
colpa all’attività solare o a non meglio precisati fenomeni astronomici?
Ok, direte voi, ma
qual è l’effetto nocivo sui singoli utilizzatori di ARIA® causato dal valore
fuori specifica dell’anidride carbonica? In fin dei conti stiamo parlando di un
farmaco, perciò dovremmo a rigore limitarci ad analizzare l’impatto di questa
deviazione sulla salute degli individui. Compito non facile, in effetti. Gli
esperti in farmacovigilanza stanno studiando intensamente il problema ma non
sono ancora giunti ad una conclusione. Si sta però facendo strada un’ipotesi
non del tutto peregrina, e cioè che l’aumento della quantità di CO2 inalata
abbia in qualche modo indotto una sorta di narcolessia che ha reso gli umani
non più in grado di comprendere ed elaborare un certo tipo di informazioni, e
in modo particolare i ripetuti allarmi lanciati dalla stessa scienza sul vicolo
cieco in cui ci stiamo collettivamente incamminando con il sovrasfruttamento
delle risorse della Terra e con l’insostenibile accumulo dei prodotti di scarto
delle attività umane. Insomma una pericolosa sindrome che
conferisce immunità e resistenza a un certo tipo di fatti e che provoca
l’incapacità a reagire e a prendere le necessarie contromisure.
Se così fosse, saremmo
in mezzo ai guai, non credete?
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