sabato 11 dicembre 2021

Guido Dalla Casa racconta la sua vita

 (da un'intervista del 2014 di Giuseppe Moretti riportata sulla Rassegna Stampa di Arianna Editrice)



Raccontaci il tuo percorso di vita e come sei arrivato all’ecologia profonda

Ricordo benissimo i primi contatti con una vita di campagna. C’era la guerra, con la mia famiglia eravamo sfollati nei dintorni di Bologna, avevamo preso in affitto una casa e un pezzetto di terra, l’orto, il frutteto, il pollaio, due anatre. C’era pure la vigna. Ma c’erano anche i bombardamenti, soprattutto nella vicina città. Mia nonna, che proveniva da una vita di campagna, mi insegnava tutto sulle galline, come covano, quando fanno più uova, come si comportano quando vogliono covare. Ricordo ancora, dopo 70 anni, come si faceva il pastone. Ma poi razzolavano molto, mangiavano i vermetti. Con un verso particolare, la chioccia segnalava ai pulcini quando in cielo c’era la poiana … Non stavano in quelle orrende gabbie “industriali” dove oggi sono considerate “macchine per fabbricare uova”.

Poi fummo costretti a rientrare in città, il fronte era vicino. Ricordo benissimo il trauma che ho avuto nel rientro in un condominio urbano (avevo otto anni), tirandoci dietro solo due galline e il cane, sistemati in cantina per qualche tempo.

Passati alcuni mesi, la vita tornava gradualmente alla normalità, senza più bombe. Fortunatamente, dopo due anni la mia famiglia si trasferì in una villetta fuori città, dove almeno c’era un giardino e c’erano gli alberi, e qualche prato.

Dopo le scuole medie, mi iscrissi al Liceo Scientifico, mi piacevano matematica e fisica, ma soprattutto le scienze naturali. Spinto inconsciamente dall’ambiente familiare, mi iscrissi alla Facoltà di Ingegneria, che allora era considerato il massimo per un futuro “brillante” (!?). Nessuno parlava ancora di Ecologia, né profonda né superficiale. Ma sentivo che mi mancava qualcosa. Continuavo ad interessarmi alle scienze naturali, considerandole una passione “del tempo libero”. Ma era la mia vera natura, me ne accorsi solo dopo alcuni decenni.

Fortunatamente, durante tutto il periodo degli studi, e anche in seguito, sono sempre riuscito a trascorrere gran parte dell’estate in montagna, prima sulle Dolomiti, poi sulle Alpi Occidentali. Mi sono accorto solo molto tempo dopo del significato della mia passione per la montagna: lassù si poteva trovare ancora la Natura, non tutto era antropizzato. Iniziai a lavorare alla Società Edison di Milano (poi divenuta ENEL), all’inizio nel campo dell’energia idroelettrica, che in quegli anni era ancora considerata la principale fonte di energia. Almeno sulla carta, avevo a che fare con le montagne.

In montagna ho anche conosciuto Elvira, abbiamo fatto molte escursioni e salito diverse cime interessanti sulle Alpi. Ci siamo sposati nell’anno in cui ho dovuto stare lontano da cime e valli, per trascorrerlo in Puglia con l’Aeronautica Militare. A quel tempo (1962-63) c’era l’obbligo di passare quei 18 mesi, ma fu un’esperienza assai interessante. Anche dopo di allora, siamo sempre andati in montagna, spesso per escursioni molto belle.

Ancora non pensavo all’Ecologia Profonda, ma allora scrissi l’unica mia poesia, intitolata “Ode alla Vita” e pubblicata sul “Sentiero Bioregionale” n. 5 (Solstizio invernale 2013). Forse c’era già qualche accenno semi-conscio di ecologia profonda.

Per fortuna, pur abitando in città, ho avuto quasi sempre la possibilità di trascorrere quattro o cinque settimane di ferie all’anno, in montagna o al mare (di solito su isole poco affollate o in stagione non di punta).

Negli anni successivi, dopo qualche anno a Milano, ci siamo trasferiti, per motivi di lavoro, a Pino Torinese, poi a Vercelli, poi ancora a Milano. Fra gli anni di Milano e quelli di Torino, ci fu l’ascensione al Kilimangiaro (1968), con mia moglie: una salita molto interessante con passaggio di tanti ecosistemi diversi. Era come andare dall’Equatore al Polo e ritorno in cinque giorni. Dai quaranta gradi della savana a venti gradi sotto zero, sulla cima Uhuru, che sfiora i 6000 metri. Allora c’era ancora qualche ghiacciaio presso la vetta, ora sta scomparendo. Durante gli otto anni “di Torino”, mi iscrissi al WWF, di cui sono tuttora socio (dal 1968), e collaborai alla fondazione della Sezione Piemonte. Era l’Associazione più attiva nel campo dell’ecologia (allora e tuttora, di superficie). Mi avviavo molto lentamente verso l’ecologia profonda, che iniziò ad avere questo nome solo nel 1972, con il noto articolo di Arne Naess (The Shallow and the Deep).

In quel periodo sono nati i nostri due figli, Enrico e Valeria, che ci hanno poi seguito sulle montagne per un po’ di anni. Per l’evoluzione del mio pensiero fu determinante la lettura del libro del Club di Roma “I limiti dello sviluppo”, massima espressione dell’ecologia di superficie (è ancora antropocentrico), alle cui conclusioni nessuno ha dato retta, ma che si stanno rivelando esatte proprio in questi anni. I divulgatori del famoso rapporto fecero qualche errore perché misero in evidenza soltanto “l’esaurimento delle risorse” implicito nello studio semplificato, evidenziando poco le proiezioni dello scenario principale e quello dove si ipotizzavano “risorse infinite”, che collassava anch’esso, solo un po’ più tardi. I tre aggiornamenti (del 1993, del 2006 e del 2013) che confermavano lo studio precedente e segnalavano l’aggravarsi della situazione mondiale, sono stati completamente ignorati. Quarant’anni sono passati invano.

Allora c’erano anche state, in Italia, le “domeniche senza macchine”: erano tutti avvertimenti, era “l’ultima chiamata”, ma nessuno ha risposto. Nel 1975 fu pubblicato il mio primo libro, intitolato “L’ultima scimmia”, dove ancora non si parlava di ecologia profonda, ma si ponevano già pesanti critiche a questa civiltà urbana “in continua crescita”.

Durante gli anni di Vercelli, prendemmo in affitto una cascina nei pressi del lago di Viverone, dove potevamo trascorrere i fine settimana e tenere l’orto, collaborando talvolta con il vicino agricoltore. E’ stato pure in quegli anni che, per un motivo di lavoro, venni a conoscere la frazione San Gottardo di Rimella (Valsesia), abitata allora da 20-30 persone, ancora priva del servizio elettrico, e non raggiunta da strada. Era un paese senza macchine! Vi comprammo un’antica casa di fine Ottocento che abbiamo resa abitabile con un minimo di servizi. Ancora oggi il villaggio non è raggiunto dalla strada, che si è fermata a dieci minuti di sentiero. Ora ha 18 abitanti residenti: non sono più diminuiti da circa 20 anni, qualcuno è un cittadino di ritorno.

Cominciai a interessarmi alle filosofie orientali (soprattutto Buddhismo e Taoismo), e ad alcune filosofie native (specialmente del nord-America), rendendomi conto che il mostruoso antropocentrismo della nostra civiltà era in gran parte dovuto alla posizione assegnata alla nostra specie dalla tradizione giudaico-cristiana-islamica, cioè dalle basi dell’Antico Testamento. Ad esempio, è evidente che nel Buddhismo gli altri esseri senzienti (gli altri animali, ma anche – secondo l’Ecologia Profonda - i vegetali, gli ecosistemi, gli esseri collettivi) vivono in sostanza la nostra stessa avventura. Con mia moglie, abbiamo poi seguito un corso settimanale di filosofia buddhista presso l’Istituto LamaTzong Khapa di Pomaia. Il sottofondo meccanicista-cartesiano-newtoniano, assorbito in gioventù dalla formazione scolastica e dalla società in genere, stava via via sfumando nella mia visione del mondo. La nostra specie non è l’unica dotata di “anima” (concetto discutibile), la Mente è ovunque, siamo immersi nell’Anima del Mondo.

Oltre a qualche meditazione sulla fisica quantistica e le sue conseguenze filosofiche, furono determinanti per la mia evoluzione verso l’ecologia profonda alcune letture, fra cui cito, solo come esempi, i libri di Fritjof Capra (Il Tao della Fisica, Il punto di svolta, Verso una nuova saggezza, e altri), di Gregory Bateson (Verso un’ecologia della mente, Mente e Natura), molti libri di Konrad Lorenz, di Ilya Prigogine (La Nuova Alleanza, La fine delle certezze, e altri), di Arne Naess (Ecosofia), di Devall e Sessions (Ecologia Profonda) e di Rupert Sheldrake (La rinascita della Natura, Sette esperimenti per cambiare il mondo, La mente estesa e Le illusioni della scienza), oltre a quelli di James Hillmann, Gary Snyder, Edward Goldsmith, Paul Ehlrich e qualche lettura interessante sulla dinamica dei sistemi (Assalto al pianeta di Pignatti e Trezza) e La vita segreta delle piante di Tompkins e Bird.

Mi resi conto che l’antropocentrismo, ancora universalmente diffuso nella nostra cultura, non è più sostenibile da alcun punto di vista.  Dopo la pubblicazione della prima versione della "Guida alla sopravvivenza", all’inizio del 1984 venni invitato alla sede della RTSI di Lugano per una trasmissione televisiva, dove mi resi conto che la vicina Confederazione si stava preparando molto seriamente a sopravvivere ad eventi molto gravi, presumibilmente una guerra nucleare totale. Pensandoci trent’anni dopo, allora non poteva accadere, perché la Terra si sarebbe ridotta in pochi giorni a quella che era stata chiamata (nel libro di Jonathan Schell "Il destino della Terra" uscito in quegli anni) "una repubblica di insetti e di erbe". Ma la Terra è molto più importante di noi umani, che ne siamo solo componenti, come le cellule di un Organismo: il Pianeta non poteva ridursi così. Ora invece, sarebbe possibile una forma di collasso per salvare il Complesso dei Viventi, in gravissimo pericolo perché questa civiltà ha ormai invaso il pianeta e il numero di umani ha largamente superato ogni valore tollerabile. La Guida alla sopravvivenza, in cui ho cercato di far passare nozioni di ecologia profonda in un libro che potrebbe sembrare soltanto di survival (per esigenze editoriali) è stata ripubblicata, completamente aggiornata, nel 2010 dalla Casa Editrice Arianna di Bologna.

Nel 1997 ho lasciato l’ENEL, per dedicarmi successivamente e progressivamente all’Ecologia Profonda. Oltre alla Guida alla sopravvivenza, sono poi stati pubblicati  “Ambiente: Codice Rosso” (un libretto divulgativo) e soprattutto il libro principale “L’Ecologia Profonda. Lineamenti per una nuova visione del mondo” (Mimesis, 2011), di cui esiste anche una versione ebook della Casa Editrice Arianna. E’ un ampliamento e aggiornamento di Ecologia Profonda, pubblicato nel 1996 dalla Pangea di Torino. Nel 2008 è uscito anche "Inversione di rotta", scritto con Giorgio Cazzaro ed Enrico Geuna.

Ho impiegato circa 40 anni (dagli anni Cinquanta agli anni Novanta del secolo scorso) per passare da una visione meccanicista-cartesiana-newtoniana all’Ecologia Profonda, che ha aspetti profondamente spiritualisti: è una forma di panteismo.

Ora faccio parte dell’Associazione Eco-Filosofica, che ha sede a Treviso e svolge una notevole attività soprattutto nel Veneto, tengo un corso di dieci ore di Ecologia Interculturale presso la Scuola di Filosofia Orientale e Comparativa di Rimini e un corso di Ecologia Profonda all’UNITRE di Saronno. Con Enzo Parisi, Direttore dell’Orto Botanico di Genova, cerchiamo di dare vita a un Movimento Italiano per l’Ecologia Profonda (IDEM) e di mantenere contatti con i movimenti affini, quelli che si occupano soprattutto degli aspetti pratici: il Movimento Bioregionale, la Decrescita Felice, l’Ecopsicologia, il Movimento Zeitgeist, i movimenti sulle  filosofie native, oltre a qualche contatto con idee ancora più radicali, come la critica alla civiltà, dove si contestano non soltanto gli ultimi tremila anni di civiltà occidentale, ma gli ultimi diecimila anni, a partire dall’introduzione dell’agricoltura (salvando la permacultura). Come contatti internazionali, tengo uno scambio di mail con l’Ecocentric Alliance (prima chiamata LeftBio) che ha avuto origine in Canada ma è diramata in tutto il mondo, via internet.

1 commento:

  1. Forse è la realtà del nostro corpo che ci fa dubitare dell'esistenza dell'anima ma io credo che l'anima esista e che il corpo sia nient'altro che l'abito che è stato affibbiato all'anima, il vestito dell'anima. E però bisogna avere il coraggio di dire che anche se l'uomo è la cellula cancerogena del Pianeta, nessun uomo può ergersi a giudice e ordinare la morte o la reclusione, o la prigionia di altri esseri umani con la motivazione che lo si fa per salvare il Pianeta. La morte è il punto di arrivo di ogni cosa, di tutto, anche della Terra, perché è la conseguenza inevitabile dello sviluppo biologico dell'universo, così come Dio, (o la "Mente che è dappertutto"), come scrive Guido dalla casa, evidentemente ha programmato. L'universo funziona consumandosi perché ogni forma di vita per vivere deve mangiare qualche altra forma di vita e dunque questo porta inevitabilmente alla morte, prima o dopo, di ogni cosa. Probabilmente, forse, per passare ad uno stadio successivo ma intanto, si muore. Sicuramente l'uomo accelera questo processo per quanto riguarda la Terra ma gli umani non possono pensare di uccidere altri umani per salvare la Terra, gli umani devono per forza di cose pensare al benessere di tutti gli altri umani. Se si è in troppi bisogna usare il cervello (che ci vantiamo di possedere) e regolarci nelle nascite ma se non ci riusciamo, forse significa che questo fa parte del processo biologico prestabilito dalla "Mente che sta dappertutto". Un umano, secondo me, ha il diritto di uccidere altri esseri umani solo per difendere la sua vita o la vita di altri esseri umani, non per difendere forme di vita diverse dalla sua, anche se questo provoca dolore e consapevolezza del male che sta accadendo. Per il resto bisogna lasciar fare a Dio.

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