lunedì 3 gennaio 2022

Il vero problema, di Guido Dalla Casa

 (fonte: Rassegna Stampa di Arianna Editrice)


La Terra ha quattro-cinque miliardi di anni. La Vita ha tre miliardi di anni, l’umanità ha tre milioni di anni (se assumiamo, come data convenzionale di inizio, l’esistenza della nostra antenata Lucy), la cultura occidentale giudaico-cristiana ha duemila anni, la civiltà industriale ha due-trecento anni. Meditiamo su questi tempi e sul loro significato: troviamo spesso un rapporto 1:1000 ad ogni passaggio.

Il mondo di oggi è in gravissima crisi. La civiltà industriale, che ha manifestato la sua natura distruttiva da meno di un secolo (dato che procede con legge esponenziale), sta per finire perché è incompatibile con il funzionamento del sistema più grande di cui fa parte.

Qualunque discorso serio sul prossimo futuro dovrebbe iniziare così: “Il modello culturale umano denominato civiltà industriale, fondato sull’incremento indefinito dei beni materiali ed espressione attuale della cultura occidentale, è fallito. Dobbiamo gestire il transitorio verso modelli completamente diversi riducendo il più possibile gli eventi traumatici, che sembrano ormai inevitabili.”

Invece si continua a parlare di ambiente (quando va bene) come se si trattasse di un “contorno” di qualcosa di più importante, come se fosse “un lusso”, un optional!!

Si usa chiamare “ambiente” un complesso di:

- venti-trenta milioni di specie di esseri senzienti,

- innumerevoli ecosistemi che si possono considerare pure esseri senzienti,

-  sostanze in continuo scambio e movimento,

-  relazioni fra tutti gli elementi interni al complesso.

Il termine è fortemente fuorviante: probabilmente il concetto deriva dal fatto di sottintendere “ambiente dell’uomo”, cioè è impregnato dal fortissimo antropocentrismo della cultura occidentale. In sostanza si usa chiamare “ambiente” un Organismo Totale vivente-senziente, come se fosse un “contorno” di alcune sue cellule (la nostra specie).

Invece che parlare di ambiente, sarà meglio parlare di Ecosistema, cioè la Totalità terrestre ci cui la nostra specie fa parte. Oppure, semplicemente, diremo “la Terra”.

La Terra non è “la nostra casa”, ma è l’Organismo di cui facciamo parte: siamo un suo tessuto, siamo come un tipo di cellule integrate in un organismo biologico, e che dipendono in modo totale dalle sue possibilità di omeostasi: La nostra vita dipende dalla capacità della Terra di autocorreggersi mantenendosi in condizioni quasi-stazionarie.

Il vero problema di oggi non è “la crisi economica”, ma piuttosto il problema ecologico globale, da cui discendono tutti gli altri.

Le estrapolazioni in avanti di moltissimi fenomeni in corso (fra cui soprattutto l’aumento della popolazione umana sul Pianeta, 80-90 milioni all’anno, e la crescita dei consumi) danno risultati palesemente paradossali già attorno all’anno 2030: non vi si potrà arrivare così, tranquillamente, continuando come ora. L’innesco di “qualcosa” che farà arrestare molte tendenze attuali è da attendersi entro la fine di questo decennio.

La definizione classica di sostenibilità (un processo è sostenibile se “i nostri discendenti” non ne avranno un danno) è assai discutibile. Mi sembra invece molto migliore l’espressione seguente: “L’andamento di un sistema è sostenibile se può durare a tempo indefinito senza alterare in modo apprezzabile l’evoluzione del sistema più grande di cui fa parte”. Tale definizione è priva di riferimenti antropocentrici e tiene conto della vita (o del funzionamento) dell’Ecosfera, che comprende anche la nostra specie.

Il primato dell’economia ci sta portando verso il disastro, verso un mondo senza varietà dei viventi. Nessuna attività umana ha distrutto la Vita quanto la smania economicista che ci sta divorando.

Attualmente sulla Terra gli umani sono oltre sette miliardi e aumentano di 90 milioni all’anno, scompaiono 100.000 Kmq di foreste all’anno, l’anidride carbonica aumenta di 3 ppm all’anno, si estinguono 30-40 specie al giorno, la biodiversità si degrada a vista, il consumo di territorio fa registrare cifre vertiginose. Palesemente questi fenomeni, conseguenze inevitabili della crescita economica, non possono continuare ancora a lungo. Quindi la Natura deve cercare di guarire dal suo male, facendo terminare quella forma di pensiero che ha invaso tutto il mondo e lo sta distruggendo. Occorre partire da altre basi, occorre abbandonare completamente: la competizione economica, la globalizzazione, la crescita, il mercato e la corsa ai consumi. È accettabile soltanto uno sviluppo di tipo spirituale-culturale e delle informazioni. Se invece si mantengono le premesse attuali, i problemi del mondo sono chiaramente insolubili.

Molti movimenti integrati nel sistema, quelli cosiddetti “ambientalisti”, continuano a parlare con il linguaggio dell’economia.  Ci sono poi movimenti utilissimi e animati dalle migliori intenzioni, come la Decrescita felice o quelli “della transizione”, che propagandano idee di cambiamenti notevoli, vogliono giustamente sostituire le fonti energetiche, ma in sostanza tendono a “verniciare di verde” il mondo attuale, troppo spesso usano ancora il linguaggio dell’economia. Penso che bisognerà andare oltre, abbandonare anche nei discorsi le merci, i beni, il PIL, il mercato, forse anche il denaro e l’economia stessa.

Il primato dell’economico deve assolutamente cadere. Un grosso aiuto può venire da un pensiero appena nascente che comprende diversi movimenti, anche se numericamente non molto rilevanti: l’Ecologia Profonda, gli studi sulla mente animale, la mente estesa, l’Ecopsicologia, lo studio delle culture native e orientali antiche, il miglioramento dei rapporti con gli altri esseri senzienti (fino a pervenire a forme di simbiosi), la critica alla civiltà, e così via.

Senza un sottofondo animista-panteista che dia un valore in sé (e non in funzione umana) a tutte le entità naturali, sarà ben difficile pervenire a modelli culturali veramente diversi e compatibili con i più grandi cicli naturali che persistono da centinaia di milioni di anni.

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