martedì 24 agosto 2021

Nel nero dipinto di blu, di Stefano Ceccarelli

 (fonte: Stop fonti fossili)


C’è un mostro al lavoro sotto la superficie dell’Oceano Artico. Si riposa un po’ in inverno, per poi ridestarsi in primavera e affannarsi come un ossesso fino all’autunno inoltrato. Col passare degli anni ha accresciuto il suo furore, quasi che il peso degli anni lo avesse rinvigorito anziché fiaccato.

Un’energia oscura, che viene da lontano, lo nutre conferendogli sempre maggiore potenza: possiamo immaginarlo mentre si dimena, in preda ad interminabili convulsioni, scatenando la sua furia epica contro il ghiaccio che lo sovrasta. È impegnato in una lotta furibonda che lo spinge in alto, verso il blu luminoso dipinto dal rifrangente abbraccio fra cielo e acqua allo stato liquido.

Anno dopo anno, il mostro rosicchia instancabile i ghiacci artici marini da sotto, accanendosi con identica diabolica ferocia sugli strati più spessi e antichi come sulle sottili lastre traslucide che lasciano filtrare il chiarore.

Di tanto in tanto fa capolino attraverso chiazze di mare azzurro per lo più destinate a richiudersi col prossimo inverno, ma lui, non pago dell’effimera conquista, prosegue implacabile nella sua missione.

È fatica improba la sua, oltre che oscura, e per di più avara di soddisfazioni: dall’alto le cose appaiono come non sono, e rassicurano i miopi e gli stolti.

L’occhio non può scorgere quanto è drammatica la riduzione dello spessore, e quindi del volume del ghiaccio marino, e si limita a fotografare l’estensione della bianca coltre, la quale, sì, si va sensibilmente riducendo, specie ai margini della calotta, ma non ancora a livelli da togliere il sonno.

E poi, il freddo è ancora lì, ostinatamente fermo sui zero gradi centigradi se lo si misura sulla superficie del ghiaccio. Gli umani avveduti di cose di scienza lo chiamano calore latente di fusione: si scalda la massa ghiacciata ma la sua temperatura non aumenta, come per darci il tempo di mettere le cose a posto prima dell’irreparabile. Una preziosa regalìa della termodinamica, o se preferite un dono d’amore del Creatore verso le creature viventi di questo tempo che scricchiola fin dalle fondamenta.

Ma il mostro non si cura delle pause né dell’inerzia del clima, e continua a scaricare la sua rabbia vendicatrice puntando instancabile verso l’obiettivo che scaraventerà definitivamente la nostra già malmessa pallina blu oltre le Colonne d’Ercole: di qua l’Olocene brulicante di vita, di là le terre inesplorate del caos climatico e delle estinzioni a raffica.

Il traguardo agognato dalla Bestia ha un nome: Blue Ocean Event. A chiamarlo così sembra non incutere alcun timore; di certo il mostro vuole ingannarci, tirando in ballo il più luminoso dei colori e l’immensità del mare aperto, che evocano pace e serenità.

Ma l’Evento, che gli strumenti indagatori della Scienza collocano in un orizzonte temporale ormai prossimo, non potrà essere più sinistro. In quanto accadimento definibile, verificabile e fisicamente collocabile nello spazio-tempo, esso è destinato a spazzare via l’impercettibile gradualità del cambiamento climatico, che ci ha resi indifferenti e pigri per almeno cinquant’anni.

Sarà uno shock di fronte al quale il ricordo del Covid impallidirà. Ma a quel punto una frase fin lì trattenuta a stento per pudore finirà sulla bocca di tutti: è troppo tardi. Punto di non ritorno per eccellenza, il Blue Ocean Event sarà lo spartiacque fra una lunga navigazione tranquilla e la tempesta perfetta che ci sbatacchia catapultandoci in un regno dell’ignoto che ha del terrificante. Altro che hic sunt leones.

Avverrà in un giorno di settembre, forse fra un anno, forse fra venti, se siamo fortunati fra quaranta, ma avverrà, e lo sgomento travolgerà gli astanti. Sebbene del ghiaccio tornerà a riformarsi l’inverno successivo, gli effetti devastanti non tarderanno a mordere le carni dei vivi.

Qualcuno allora ricorderà come molti anni prima i profeti di sventura avessero avvertito che ciò che avviene nell’Artico non rimane confinato nell’Artico, mentre coloro che fiutavano l’odore di nuovi profitti generati dallo scioglimento dei ghiacci costruiranno di soppiatto bunker a prova di apocalisse, e tutti leveranno al cielo un agghiacciante si salvi chi può!

Nulla sarà più lo stesso dopo il primo Blue Ocean Event. La relativa tregua fino ad allora assicurata dal calore latente di fusione sarà carta straccia, e nessun immenso bianco specchio (Groenlandia a parte, ma fino a quando?) rifletterà più la radiazione solare da questa parte del globo.

Del resto è proprio la termodinamica, che ha graziato tante generazioni tenendo a freno l’aumento di temperatura, ad insegnarci che lo stesso calore che fa fondere una massa di ghiaccio è sufficiente a portarla da 0 a 80°C. Col frigorifero dell’emisfero boreale ormai da rottamare, sarà dura mettere qualcosa sotto i denti.

In un tale scenario, potrà persino farsi strada l’idea di una migrazione agli antipodi verso il grande Continente Bianco, ultima riserva di benefico freddo sul pianeta, come ho immaginato nella mia distopia fatta romanzo.

Quando avrà completato l’opera, il mostro si disvelerà ad un’umanità stanca e attonita ed assumerà le più svariate sembianze.

L’energia che gli permetteva di divorare il ghiaccio si dirigerà verso altri lidi e sarà dissipata per altre spaventose missioni: accelerare l’amplificazione artica e lo scioglimento del permafrost, sconvolgere il vortice polare, accentuare le oscillazioni del jet stream, rallentare la circolazione termoalina, aumentare le emissioni di metano dai fondali sottomarini, innescare incendi nelle foreste boreali, alterare il ciclo delle stagioni, e via di questo passo, in una spirale perversa che renderà la Terra irriconoscibile.

Il mostro sarà dappertutto, e finalmente potrà godere del blu dipinto di blu.



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